Per carità, ben vengano gli aiuti all’Ucraina. Sacrosanto l’invio di uomini e mezzi per soccorrere i profughi. Sono due anni che abusiamo della locuzione “siamo in guerra”; almeno, stavolta è vero: la guerra c’è, nel cuore dell’Europa ed è giusto che ci assumiamo almeno la responsabilità del sostegno umanitario alla popolazione. Permetteteci solo un sorriso amaro, perché non abbiamo ancora fatto in tempo a liberarci di uno stato d’emergenza (quello vigente da fine gennaio 2020, per via del Covid), che già ce ne propinano un altro….e kest’è!
Si realizza la profezia di un fisioterapista e un fotografo? Il governo per emergenze? Lo stato d’eccezione permanente?
Stavolta, è indubbio, la giustificazione per approvare un regime straordinario, che deroghi alle norme normalmente operanti, sussiste eccome: in fondo, è la prima volta dalle guerre nei Balcani che, in Europa, ci ritroviamo con i tank e i bombardamenti. Il punto, semmai, è un altro: è che, come nella favoletta dell’uomo che gridava sempre “al lupo, al lupo” e, quando il lupo arrivò davvero, non fu creduto da nessuno, a furia di tenere in piedi lo stato d’emergenza in assenza di emergenza, quando l’emergenza è arrivata davvero, fatichiamo a non considerare pure questa come ordinaria amministrazione. Il sommo paradosso: l’emergenza si è a tal punto istituzionalizzata, da essere stata normalizzata.
È la cifra dell’epoca contemporanea. Catastrofi economiche, climatiche, sanitarie, belliche: da un certo punto di vista, tutto è emergenza. E anche quando non c’è una dichiarazione ufficiale del presidente del Consiglio, l’aura che circonda gli eventi politici è sempre caratterizzata dalla sensazione di un allarme incombente. Un po’ com’è accaduto con l’elezione del capo dello Stato: il sempreverde “Fate presto”, l’affanno dei partiti, il ripiegamento su un compromesso conservativo, che formalizza quella che doveva essere un’anomalia (il bis al Colle).
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