A Gaza piovono bombe, a Pontida sventolano bandiere (anche quella Israeliana, gravissimo) e piovono slogan con applausi da circo.
Eppure, in questo Paese con la memoria corta e il fegato lungo, sembra fare più notizia il prato concimato che i bambini dilaniati.
Ogni anno la stessa liturgia: il prato trasformato in Lourdes padana, con i fedeli che sventolano bandiere come fossero rosari e gridano “Padania libera” tra un rutto da birra e una salamella mezza cruda. Gaza ha le sirene dei missili, Pontida le sirene della retorica. La differenza? A Gaza si muore, a Pontida ci si rincretinisce in massa.
E c’è quasi da pensare che i veri danni collaterali siano qui: migliaia di persone ipnotizzate da un comiziante in felpa, convinte che il nemico sia il barcone che porta disperati e non i veri baroni che gli rubano stipendi, futuro e dignità.
A Gaza i muri servono a separare popoli in guerra. A Pontida i muri sono mentali, costruiti a colpi di paura, odio e propaganda.
E fanno pure più danno, perché almeno a Gaza qualcuno sa di essere prigioniero. Qui no: qui ridono, applaudono, si credono liberi, mentre si muovono come burattini telecomandati dal leader di turno.
È tutto un teatrino: Gaza ha le macerie, Pontida ha la scenografia. A Gaza si muore per davvero, a Pontida si muore dentro, lentamente, avvelenati da decenni di slogan ripetuti come preghiere.
E allora eccoci qui: due mondi lontani, eppure legati dallo stesso filo di cinismo. Perché è più comodo indignarsi per Gaza a distanza, con un post su Facebook, e poi correre a Pontida ad applaudire chi costruisce muri.
Pontida non è folklore, non è festa. È il carnevale nero di un Paese che si prende in giro da solo. È la Sagra del Nulla, il raduno degli illusi che si fanno concimare il cervello.
E se Gaza è l’inferno della guerra, Pontida è l’inferno della stupidità.
Con una differenza: Gaza prima o poi finirà sui libri di storia.
Pontida, invece, resterà solo una nota a piè di pagina: la prova che l’Italia, a volte, preferisce concimare i prati invece che i cervelli.
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