A bocce ferme, passata una settimana dalla chiusura delle urne, è possibile aprire una riflessione più approfondita sulle dinamiche locali che si sono mosse durante le ultime elezioni regionali. E’ necessario partire dai dati per capire chi ha fatto bella figura e chi no, a partire dai dati complessivi dell’affluenza alle urne. Dalle 15 di lunedì scorso, infatti, non si fa che gridare a destra e a manca che gli elettori schifano i politici e la politica e, per questo, si sono astenuti dall’andare a votare. Se è vero che la disaffezione popolare verso le urne è un dato costante degli ultimi 15 anni, è altrettanto vero che l’andamento dell’affluenza nell’ultima tornata elettorale è stata soprattutto frutto della scriteriata scelta di votare in pieno autunno. Lo dimostrano i numeri. Fino alla rilevazione delle ore 19 di domenica 23, l’affluenza totale regionale si presentava in linea con quella di cinque anni fa (la provincia di Caserta segnava addirittura un aumento dei votati rispetto al 2020). Poi l’oscurità, il freddo e la pioggia che si sono mangiati tutta la potenziale affluenza della domenica sera, irrecuperabile il lunedì. Il -11% che si è segnato a fine partita alle 15 di lunedì sarebbe stato un dato molto più ridotto se si fosse votato in primavera. Di conseguenza, seconda riflessione a carattere generale necessaria e indispensabile, tutti i calcoli che i partiti stanno incominciando a fare per le politiche basando i voti usciti in una elezione regionale con una affluenza al 40% (che sarà irripetibile alle politiche quando tornerà, al ribasso, sopra il 60%), sono assolutamente balzani e poco credibili. La volatilità dell’elettorato è il fattore da non dimenticare, oggi un elettore che vota Avs alle regionali può trovarsi a segnare sulla scheda il simbolo di FdI alle politiche. Sbaglia il campo largo a pensare di poter incassare domani tutti i collegi uninominali delle regioni dove si è votato e rischia di suicidarsi la premier Meloni che vuole cambiare la legge elettorale bissando i successi dei suoi predecessori che si sono rovinati la rielezione con le loro stesse mani (Berlusconi con il Porcellum, Renzi con l’Italicum).
Il caso Zannini e quello Forza Italia
Chiusa la premessa generale è l’ora di fare i conti. I numeri generali sono una cosa fantastica perchè con i numeri ogni rappresentante politico di questa provincia ha potuto cantare vittoria. Ma dai numeri delle preferenze arrivate nei Comuni non si possono che trarre delle considerazioni effettive sulle capacità di mobilitazione di candidati e grandi elettori. Cominciamo dagli sconfitti, il centrodestra, e dai suoi candidati. La coalizione perde anche nella circoscrizione di Caserta che i leader pensavano di poter vincere dopo la stagione dei grandi compromessi trasversali promossa da Vincenzo De Luca che, nel 2015, nel momento di massima vulnerabilità del centrodestra (massacrato da indagini e arresti) acquisì dal centrodestra una grande massa di candidati e di consensi. Non a caso il pensiero stupendo di riportare a destra la provincia è diventato concreto quando Giovanni Zannini e Vincenzo Santangelo hanno orientato il timone verso Fi e FdI. L’elezione dei due è una sconfitta per il centrodestra che in dieci anni non ha saputo costruire una classe dirigente credibile e alternativa a quella dei deluchiani. Dei tre consiglieri regionali eletti dal centrodestra Zannini e Santangelo sono frutto dell’amministrazione De Luca e vincono perchè hanno ricevuto una pioggia di consensi. Se Zannini e Forza Italia può festeggiare nell’agro aversano e nel litorale a Caserta città gli azzurri devono piangere e fare mea culpa. Se in provincia il partito arriva al 16% e nel capoluogo al 6% vuol dire che c’è qualcosa che non va. Cosa è mancato al risultato cittadino di Fi? E’ mancato senza dubbio il consenso ‘politico’, quello che si costruisce giorno per giorno sul territorio con un partito operativo e che funziona. Forza Italia, affidata all’avvocato Paolo Falco, non ha lavorato bene su questo fronte e i risultati si sono visti. Ma al partito è mancato anche un flusso consistente di voto di preferenza per lo stesso Zannini. Il flop casertano non è il flop solo di Falco ma è il flop generalizzato anche dei tanti sostenitori del consigliere regionale uscente e questo avrà i suoi effetti anche su quelli che saranno i posizionamenti in vista delle comunali. Chi portava Zannini a Caserta? Sulla carta tanti. Alla presentazione della candidatura di Zannini erano presenti gli ex consiglieri Donato Tenga, Michele Picozzi, Nicola Gentile e Domenico Guida, avvistati anche alle cene e cenette elettorali organizzate a più riprese nel capoluogo (in una non potendo presenziare l’ex consigliere Guida ha spedito il figlio che ha saluto e si è portato a casa la pizza nel cartone). C’era anche l’ex assessore e vicesindaco Emiliano Casale. Sempre su carta gli zanniniani del capoluogo, anche quelli che non si sono fatti vedere, erano di più. Insomma Zannini si aspetta di toccare le 2mila preferenze e si è ritrovato con 763 voti e Fi quarta lista della coalizione (dietro la lista Cirielli). Dove sono andati i voti di Zannini? La maggior parte degli zanniniani ha fatto campagna elettorale solo in camera da letto evidentemente mentre qualcuno i voti li ha portati altrove. Guida, ad esempio, malgrado la pizza a portar via, ha sostenuto il presidente del consiglio regionale uscente Gennaro Oliviero. Ma non è solo nel capoluogo che Zannini ha ricevuto meno voti di quelli attesi. Stupefacenti sono i risultati arrivate dalle sezioni lungo l’Appia dai comuni di Casagiove, Casapulla e limitrofi, dove a sostenere il consigliere regionale uscente c’erano il potente Mario Melone e l’ex consigliera provinciale Raffaella Zagaria (3600 preferenze ottenute alle regionali di 5 anni fa). I numeri per Zannini sono 359 a Casagione, 75 a Casapulla, 99 a San Prisco, 140 a Curti (per Zagaria si possono contare anche i 227 di Casapesenna). Numeri che saranno utili quando si ragionerà di elezioni comunali. E questo vale anche per altri Comuni dove, in Forza Italia, si è consumato lo scontro interno Zannini contro tutti con il posizionamento tra i candidati dei vari potentati locali. Da questo punto di vista sembrano non passarsela troppo bene l’ex sindaco di Capua Carmine Antropoli e l’aspirante sindaco di Capua Marco Ricci che hanno sostenuto a spron battuto, con la delicatezza a cui hanno abituato i loro concittadini (rileggere le carte delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto i due, entrambi usciti indenni dai processi, per capire lo stile dei due), il capolista Angelo Consoli (finito nella classifica generale ad un deludente quinto posto con 4513 voti). Antropoli e Ricci, a cui va aggiunto un altro ex potente come Paolo Romano (che aveva brillato classificandosi ultimo alle comunali locali), hanno raccolto per Consoli 311 preferenze. A Zannini ben 264 voti nonostante la fondamentale defezione di Maria Rosaria Nocerino che, nonostante a Zannini debba ogni risultato raggiunto in politica, lo ha tradito schierandosi con il Pd. Nocerino era la referente zanniniana di Capua e la sua defezione si prospettava avrebbe portato il consigliere regionale uscente praticamente a zero voti. A ‘salvarlo’ in città è stata Carmela Del Basso che ha risposto alla richiesta del mondragonese portandogli, sola contro tutti, 264 voti. Un risultato che conferma la storia politica di Del Basso che la vede protagonista della parte centrista del centrodestra, seppur al di fuori dalle sigle di partito.
Il miracolo di Maddaloni
In Fratelli d’Italia a cantare vittoria, confermando le previsioni, è Vincenzo Santangelo, consigliere regionale uscente. Santangelo da anni ha compreso di non essere una macchina da preferenze e sapeva bene che, per centrare l’obiettivo della rielezione, avrebbe avuto bisogno di aiuto. Così ha focalizzato gli sforzi sulla sua città, quella di Maddaloni, riuscendo a compiere il miracolo di accordarsi con il sindaco Andrea De Filippo. Perchè lo chiamiamo miracolo? Perchè in politica la regola è non rispettare i patti e millantare credito di cui in genere non si dispone. De Filippo si è invece dimostrato un uomo d’onore mettendo in riga tutto il Comune e facendo volare a 5.596 voti il risultato di Santangelo. A Maddaloni FdI arriva al 42,53%, il centrodestra al 58,94% e Cirielli al 56,60%. Numeri che hanno permesso a Santangelo di schiacciare letteralmente gli altri candidati della lista a partire da Luigi Roma sponsorizzato a spron battuto dagli onorevoli Cangiano, Cerreto e Petrenga. Dal punto di vista delle disfide locali il risultato maddalonese sarebbe stato irripetibile per Santangelo che pure ha beneficiato dei rappresentanti locali come a Caserta, dove contro tutto il partito si è battuto Pasquale Napoletano, che ci ha visto lungo e ha contribuito al risultato cittadino dell’uscente che ha ottenuto 816 voti. Voti che pesano in vista delle comunali sono anche i 253 consensi ottenuti da Santangelo a Casagiove dove ha potuto contare sull’apporto di una vera e propria ‘mosca bianca’, la funzionaria comunale Mena Vozza che è stata l’unica supporter in città di Santangelo e che non ha mai nascosto l’intenzione di correre per la fascia tricolore.
La Lega si spacca e spacca il centrodestra
In casa Lega il risultato elettorale ha avuto letture ambivalenti. Complice la stampa di regime, che ha raccolto le dichiarazioni a scrutini in corso, la Lega ha potuto cantare vittoria parlando di 10% ampiamente superato in provincia di Caserta e di primato nelle città. Quando l’ultimo voto è stato contato la doppia cifra è stata confermata ma con la virgola in mezzo lasciando i leghisti casertani al 9,5%. Quello che però ha innescato il detonatore sono state le preferenze raggiunte dai candidati. L’uomo più fortunato del mondo si chiama Massimo Grimaldi che centra la terza elezione su cinque per pochi voti di scaro con il primo dei non eletti. In questo caso, con 9.250 voti contro i 9.163 presi da Antonella Piccerillo, pure lei uscente. Deludenti sono stati i risultati di Alfonso Piscitelli (3.753 voti) e Maurizio Del Rosso (3.331 voti) che si sognava o sulla sedia al centro direzionale di Napoli o con la fascia tricolore da sindaco nel 2027. Il primo sogno è sfumato e il secondo seguirà perchè con i numeri usciti dalle urne si è compreso che a Del Rosso manca l’appeal per potersi presentare a sindaco e vincere, cosa di cui il centrodestra ha disperatamente bisogno dopo 7 anni e mezzo di amministrazione Pd e uno scioglimento per camorra. Nel capoluogo, però, Del Rosso non è riuscito a prendere più voti neanche di Francesco Apperti e Virginia Crovella della lista Fico, segnale chiaro in termini di appeal. I risultati locali sono più causa di dolori che di gioie. A Marcianise la Lega è primo partito della coalizione con 3.110 voti ma al prezzo di aver distrutto l’amministrazione comunale, di aver affossato il centrodestra, fermo al 40,23% contro il 57,69% del campo largo, e di aver fatto perdere alla città il seggio in consiglio regionale, che si traduce in meno attenzione politica e minori investimenti (Zannini docet). Un risultato frutto della candidatura del vicesindaco Pasquale Salzillo che canta vittoria personale ma uccide il sindaco Antonio Tartaglione il quale, da medico legale, sa bene di essere morto nel momento in cui la consigliera uscente Maria Luigia Iodice, che ha smesso di predicare nei luoghi di culti ed è tornata all’arena politica, ha preso la parola in consiglio comunale per spiattellargli in faccia la verità. Quale verità? Che a differenza del sindaco di Maddaloni lui non è un uomo d’onore e che non è riuscito ad imporre un candidato unitario per salvaguardare la presenza di un marcianisano in consiglio regionale. E’ chiaro che la Iodice parla a suo favore ma non ha torto sulla inconsistenza di Tartaglione che ora se ne dovrà andare a casa o fare un ribaltone e diventare il sindaco del centrostrosinistra (coalizione che aveva vinto le elezioni perdendo a causa della sconfitta della candidata sindaco). A Caserta il dato finale è stato ancora più sconfortante considerato che si parla di una città storicamente a voto moderato. A scrutinio in corso la Lega è stata primo partito ma a conteggi chiusi il dato si è fermato all’11,88% secondo partito dietro FdI (al 12%). La coalizione è inchiodata al 37,82% mentre il campo largo, dopo Marino e lo scioglimento, è al 59%. Pessimo segnale per il 2027. Se a Capua e Marcianise deve piangere il deputato Gianpiero Zinzi, a Capua le lacrime amare deve versarle il vicecoordinatore provinciale Fernando Brogna che nel suo comune vede la Lega primo partito con 822 preferenze complessive, la coalizione ferma al 45% e il centrosinistra al 52,74%. Il 10,5% raggiunto ad Aversa è frutto delle 1387 preferenze raccolte da Augusto Bisceglia su un totale di 1800, come il 10.3% di Mondragone è merito delle preferenze di Nugnes (601 su 874) e Grimaldi (488). Il risultato finale non è da ridere per il coordinatore regionale. Grimaldi viene vissuto come un corpo estraneo dagli zinziani. Lo stesso Zinzi ha tentato in tutti i modi di far vincere la Piccerillo perchè, a differenza di Grimaldi, fa parte della squadra. Invece gli è capitato l’alieno di Carinola. Non a caso, appena chiuse le urne è scoppiato il casino tra chi si sente tradito e chi si sente bersaglio. Nel giro di poche ore gli inciuci sono diventate bacchette come quella lanciata contro Grimaldi dato in uscita dalla Lega e in avvicinamento ai socialisti della nuova maggioranza del campo largo. Fesserie buttate nel mucchio per intorbidire le acque e far capire ai vertici nazionali che di quel Grimaldi lì non ci si può fidare qualora l’eletto andasse, con Patriciello, a bussare a Roma per chiedere di farsi strada a scapito della guida attuale del partito. Questo Zinzi non potrebbe permetterlo e farà di tutto perché non accada. In fin dei conti negli ultimi anni non si è mai visto un partito scaricare Zinzi ma solo il contrario.
Il campo largo o campo morto?
La risposta alla domanda è campo resuscitato. Il centrosinistra, nella proposta e nella composizione, ha deciso di tornare al prodismo a livello nazionale e in provincia di Caserta si è tornati al modello di coalizione allestito nel 2005 quando si candidò alla presidenza della provincia Alessandro De Franciscis. Il centrosinistra vinse le provinciali. Poi vinse le comunali del 2006 a Caserta con lo stesso modello a sostegno di Nicodemo Petteruti. E’ noto che entrambe quelle esperienze non abbiano avuto buon esito. Le inchieste, le indagini, le crisi politiche e le divergenze amministrative seppellirono l’unità del campo largo separando i partiti da quelli che sarebbero diventati i ‘civici’. A livello provinciale, nel 2010 nacque Speranza che presentò candidatura autonoma dal centrosinistra. Autonomi sono rimasti fino ad oggi quando, di fronte al terrificante scenario di far governare per una ventina d’anni (e immeritatamente) il centrodestra, hanno deciso di ingoiare tutti i rospi disponibili, ad ogni livello. Così in Campania Fico ha messo insieme il condannato in primo grado Marcello De Rosa, i 5 Stelle che una volta gridavano ‘onestà’ nelle piazze, i deluchiani, svariati piazzisti, nani e qualche ballerina. Champagne ai vincitori. I numeri li hanno premiati e questo avrà un effetto anche sulle comunali che verranno. A partire dal capoluogo. Qui il campo largo dovrà barcamenarsi tra le proposte di candidatura che arriveranno sulla scia dei successi elettorali raccolti alle regionali. I civici potranno esibire l’ottimo risultato di Apperti e Crovella, che sono i due più votati nel capoluogo. Dall’altro lato un mastermind della politica provinciale come Gennaro Oliviero, forte dei suoi 1300 voti, potrà spingere per la candidatura del centrista ‘prodiano’ Antonio Ciontoli, già da lui trasferito dall’Agenzia delle Entrate alla Regione dove gli ha creato il posto di capo di gabinetto del presidente del consiglio regionale con qualifica di dirigente dell’Ente. La lista di Oliviero segna anche il millino per l’ex assessora Annamaria Sadutto che dovrebbe diventare un caso studiato dagli analisti. Può l’ex assessora, e ancora consuocera dell’ex sindaco, che ha ottenuto meno risultati amministrativi aver superato i mille voti? Sì perchè quei voti, la gran parte almeno, erano i voti di Oliviero, ovvero anche i voti dell’ex fascista Mimmo Guida (quello che si faceva vedere da Zannini). Nel mezzo il Pd si è cadaverizzato proponendo la candidatura di Mariana Funaro, trombatissima come da previsioni, con 1700 preferenze che restano ancora abbondantemente sotto i 2mila voti vaticinati dal babbo Francesco per le comunali di quattro anni fa. Dunque difficilmente i dem, dopo aver comandato con Marino (rigorosamente a loro insaputa) per 7 anni al comune, potrebbero imporre un loro candidato. A livello provinciale la situazione del campo largo non è più rosea anche in vista delle prossime elezioni provinciali che potrebbero vedere prevalere il centrodestra, ora che 100 sindaci e amministratori sono transitati in Forza Italia seguendo Zannini. Infatti il campo largo ha iniziato a discutere del futuro aprendo prime crepe consistenti nel variopinto schieramento. Particolarmente attivo è il sindaco di Capua Adolfo Villani che, dall’alto della sua esperienza come presidente del consiglio provinciale durante la fallimentare amministrazione di De Franciscis, si pensa di poter dare consigli vincenti alle nuove leve. Schierato con Camilla Sgambato, Villani ha smosso mari e monti per il Pd facendo esattamente la stessa confusione che ha generato il collega Trombetta di Marcianise. Nelle prossime settimane si capirà se anche il destino dell’abate faria del Pd sarà quello del medico legale. Nelle liste minori della coalizioni le sorprese non sono mancate: il medico Iarrobino ha fatto fetecchia a prescindere dai voti raccolti dall’eletto Iovino (complimenti al sindaco di Cellole Di Leone che ha fatto come il collega di Maddaloni portando i voti al candidato della sua città garantendosi rappresentanza e attenzioni dalla Regione per i prossimi 5 anni malgrado la granitica appartenenza al campo zinziano in cui resta ancorato saldamente). Si è concluso come il volo di Icaro, la candidatura in casa riformista di Gennaro Mona che non è riuscito a chiudere l’accordo con Lucia Esposito, che ha spinto Sgambato, e si è alienato, come l’assessora capuana Nocerino, il suo ex nume tutelare Giovanni Zannini. Non stupirebbe scoprire che tra qualche settimana Mona perderà anche il ruolo di presidente dell’ordine provinciale degli infermieri. Insomma il campo largo non è morto ma potrebbe presto diventarlo.
Il futuro di Caserta?
Se si dovessero guardare i risultati delle elezioni regionali si potrebbe dire che Caserta non ha futuro. I politici casertani si sono venduti per un piatto di lenticchie e ancora una volta il capoluogo è senza rappresentanza in consiglio regionale (così come resterà fuori dal consiglio provinciale). Un risultato storico per una classe politica incredibile: impreparata e incapace di raccogliere un minimo di consenso strutturale.
Chi vince e chi perde …analisi dettagliata del dopo Regionali Campania













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