È successo tutto nel giorno del Venerdì Santo, che già di suo ha un certo carico simbolico. Il 18 aprile, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha sciolto il Comune di Caserta per infiltrazioni camorristiche. Una decisione pesante, maturata dopo sei mesi di lavoro della Commissione d’accesso, che ha accertato la compromissione dell’azione amministrativa a vantaggio degli interessi mafiosi. Ma a Pasqua risorge solo chi ha fede. A Caserta, invece, rinascono i dirigenti. Anzi, non sono mai morti.
Via i politici, perché “contaminati”. Ma gli atti che hanno consentito le operazioni gradite alla camorra — in mancanza di atti non ci sarebbe lo scioglimento anche se vanno chiarite le circostanze rilevate dalla Commissione d’accesso — non li firma il sindaco col pennarello, li firmano i dirigenti, con la loro stilografica d’ordinanza. E infatti loro sono rimasti lì, tranquilli, sereni, impiegati del sistema, sopravvissuti alla purga. Si direbbe che lo Stato abbia deciso di tagliare l’erba lasciando intatte le radici. Il che, per la cronaca, è un errore agronomico oltre che istituzionale.
Perché se, come dice la Commissione, la camorra aveva messo le mani sull’amministrazione attraverso atti amministrativi, allora viene da chiedersi: chi li ha redatti, chi li ha firmati, chi li ha fatti eseguire? E perché, dopo lo scioglimento, costoro continuano a operare come se nulla fosse?
Anzi, oggi approvano atti “in purezza”, con la supervisione della Commissione straordinaria, che però di “straordinario” ha solo l’invisibilità. All’albo pretorio, dove dovrebbe manifestarsi l’azione amministrativa, non c’è traccia di atti firmati dai tre prefetti. Un mistero amministrativo degno di Umberto Eco, solo che al posto dei rosari ci sono determine e al posto dei monaci i dirigenti comunali.
Tra questi, spiccano i nomi di Luigi Vitelli e Antonietta Carrella, rispettivamente ai Lavori Pubblici e alle Finanze. Due figure chiave. Due fedelissimi dell’ex sindaco Carlo Marino, che li aveva assunti ai sensi dell’articolo 110 del TUEL, ovvero con incarico fiduciario e a tempo determinato, legato alla durata del mandato politico. Mandato che, a rigor di logica e di legge — se la legge vale ancora a Caserta — si è concluso con lo scioglimento.
E allora perché sono ancora lì? Semplice: nessuno ha firmato un atto che li confermi. Ma neanche uno che li rimuova. Insomma, siamo nel limbo. Non quello teologico: quello burocratico. Dove l’assenza di atti produce la continuità amministrativa più opaca. E più comoda.
Nel frattempo, i due dirigenti “storici” rimasti, Francesco Biondi e Giovanni Natale, starebbero meditando la fuga. Il primo, addirittura, avrebbe chiesto le ferie. Ma gli sono state respinte. Probabilmente perché, a Caserta, non si va in ferie finché non finisce il copione.
In conclusione ci viene da domandare cosa è cambiato a Caserta dopo lo scioglimento per camorra? Nulla. Se prima la camorra si muoveva “con il consenso” di chi firmava gli atti, oggi quella stessa mano tiene ancora la penna. Cambia solo che ora non si firma più “sotto” Carlo Marino. Per quanto sia stato forse il peggior sindaco della città, il commissariamento non può ridursi solo a questo e non ci si può dire soddisfatti e contenti da questa situazione sempre più grottesca.
Cosa è cambiato a Caserta dopo lo scioglimento per camorra? Nulla !





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