Non è in prima pagina, non apre i telegiornali, non fa scalpore sui social.
Eppure è successo: la Camera ha approvato all’unanimità una modifica al codice penale sulla violenza sessuale.
Una riforma importante, che ridefinisce il paradigma del consenso e tocca temi delicatissimi della vita reale dei giovani.
E il problema è proprio questo: non se ne parla.
Una legge che cambia il modo in cui viene inteso il consenso — e quindi il modo in cui i ragazzi devono orientarsi nelle relazioni, nella vita sentimentale e nella sessualità — meriterebbe un dibattito pubblico serio, non una riga in fondo ai quotidiani.
Serve dirlo chiaramente:
se lo Stato riscrive le regole del consenso, ma nessuno spiega ai giovani cosa cambia, chi rischia di finire schiacciato sono proprio loro.
Non perché la legge sia sbagliata — tutelare le vittime è sacrosanto — ma perché senza una gigantesca operazione culturale, educativa e comunicativa, ogni nuova norma può trasformarsi in un campo minato di incomprensioni, fraintendimenti, paure.
I giovani non devono “ribellarsi”:
devono pretendere chiarezza, informazione, educazione affettiva e sessuale che funzioni davvero.
Devono sapere cosa dice la legge, come si applica, quali comportamenti sono sicuri e quali no.
Perché la libertà passa anche dalla consapevolezza.
La politica è stata rapidissima nell’approvare la riforma.
Adesso deve essere altrettanto veloce nel spiegare, formare, discutere, perché il consenso non è uno slogan: è un terreno complesso, che riguarda ogni scelta, ogni relazione, ogni persona.
La legge cambia.
I giovani non possono essere lasciati senza gli strumenti per capirla














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