A Napoli il flipper del “campo largo” lampeggia, suona, ma la pallina non entra mai in buca.
Roberto Fico, il grillino zen dei primi Meet-up, volto impassibile e voce da podcast ASMR, sta mandando in tilt le certezze della sinistra progressista.
Per ora nessuno osa dirlo: i media sussurrano, i social tacciono, e nelle segreterie si fa finta di nulla. Ma il termometro elettorale segna febbre bassa: Fico non tira.
Non come doveva, non come speravano, e soprattutto non come raccontavano.
L’ex presidente della Camera, oggi candidato M5S alla presidenza della Campania, doveva essere l’uomo della “continuità gentile”.
Invece rischia di diventare il simbolo della campagna disgiunta – quella in cui i voti si moltiplicano solo… per gli altri.
E pensare che Fico era già pronto a prendere la metropolitana per Santa Lucia, primo giorno da presidente “tra la gente”, biglietto unico e faccia compunta.
Doveva sedersi alla scrivania che fu di Vincenzo De Luca – non il ministero di Togliatti, ma pur sempre una poltrona con vista mare.
“Uno vale uno”, diceva il motto.
Già. Ma a quanto pare, alle urne, qualcuno vale un po’ di meno.












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