Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto molto discutere in quanto anche gli uomini avrebbero diritto all’assegno di divorzio.
Una discussione stuzzicante sotto il profilo sociologico -perché presuppone che ci siano mogli molto più ricche del marito- e sterile dal punto di vista tecnico e, sotto sotto, nasconde una visione vagamente sessista. La legge, infatti, è molto chiara: ciascuno dei coniugi ha diritto all’assegno di divorzio. Non solo la donna e non solo l’uomo, ma ognuno di loro.
Ovviamente l’appannaggio mensile non spetta indistintamente ma se e solo se:
esiste un forte squilibrio economico tra marito e moglie (oppure tra i due partner dello stesso sesso, nel caso di unione civile);
questo squilibrio è causato dai sacrifici che il coniuge “più povero” ha fatto durante la vita coniugale, oppure dal contributo che ha dato alla famiglia. In questo caso si parla di assegno con funzione “perequa
Il contributo mensile, però, è dovuto, in assenza di sacrifici o di un contributo fattivo, anche se, dopo il divorzio, la parte economicamente più debole non è nelle condizioni di poter condurre un’esistenza libera e dignitosa. In questo caso si parla di assegno con funzione “assistenziale”.
Quello riconosciuto al marito dalla Cassazione, rientra nella seconda ipotesi. L’uomo, per 20 anni, infatti non aveva contribuito alla formazione del patrimonio della moglie (già ricca di suo) ma aveva, con l’accordo della donna, deciso di non lavorare, mettendo nel cassetto la sua laurea in giurisprudenza.
Ora -a matrimonio finito- l’uomo non era nelle condizioni, vista l’età avanzata e il lungo periodo passato fuori dal mercato del lavoro, di potersi procurare di che vivere.
Si potrebbe obiettare che 3.500,00 sono una cifra altissima che molti italiani si sognano e che non è giusto che sia stata riconosciuto a un uomo che, almeno stando a come lo dipingeva la moglie, non aveva fatto nulla per vent’anni.
E’ una notazione -dal sapore vagamente pauperista- che, però, contrasta con quello che prevede la legge. In primo luogo dobbiamo ricordare che l’assegno di divorzio è tassato (e dunque, nel caso in esame, si riduce a 2.500 euro); in secondo luogo, per la Cassazione, quella è la cifra di cui quell’uomo, in particolare, ha bisogno per soddisfare i propri bisogni essenziali, tenendo conto sia dell’ambiente sociale in cui ha vissuto sia, soprattutto, del fatto che la moglie fosse milionaria.
Non tutte le coppie sono uguali e il divorzio non deve funzionare come “‘a livella” di Totò: la storia di ogni famiglia deve essere rispettata anche quando il matrimonio finisce. Se moglie e marito avevano deciso che il secondo non lavorasse, gli effetti negativi di quella scelta devono essere ripartiti tra i due coniugi e non solo su uno di essi. L’uomo dovrà sicuramente ridurre il proprio stile vita e per la donna 3.500,00 euro (che peraltro possono essere dedotti dalla dichiarazioni dei redditi) non sono poi un così grande sacrificio.
La decisione della Cassazione, dunque, è la perfetta applicazione del principio di uguaglianza di genere e dei criteri sulla determinazione dell’assegno di divorzio fissati nel 2018.
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