Lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose è, in teoria, uno degli eventi più rari e gravi che possano colpire un’amministrazione pubblica. È un atto straordinario, certificato dallo Stato, che sancisce senza mezzi termini che la legalità, all’interno della macchina amministrativa, è venuta meno. Non per caso. Non per sfortuna. Ma per una negligenza sistemica, diffusa, inaccettabile.
Eppure, a Caserta, tutto questo sta diventando normale. Talmente normale che, a poche settimane dallo scioglimento per infiltrazioni camorristiche, molti degli stessi consiglieri comunali che sedevano nell’aula consiliare — protagonisti diretti o silenziosi — sono già in campagna elettorale. Con la faccia tosta di chi si comporta come se nulla fosse accaduto.
È uno schiaffo alla città. È un insulto all’intelligenza dei cittadini.
Perché non è vero che “non lo sapevano”. I 32 consiglieri comunali c’erano. Erano dentro il Palazzo. Non erano, come noi, semplici spettatori. Avevano il dovere, non la facoltà, di essere sentinelle della legalità. Anche solo con una semplice interrogazione, con un’interpellanza, con un gesto politico che dicesse: “Io non ci sto”. Ma non l’hanno fatto. Perché? Per paura? Per convenienza? Per calcolo?
In ogni caso, è responsabilità politica. E la responsabilità politica pesa.
Ora la domanda è: possono costoro ripresentarsi al voto chiedendo ancora fiducia? La risposta è chiara, ed è no. No, perché chi ha permesso — anche solo con il silenzio — l’infiltrazione della criminalità nella cosa pubblica, ha fallito nel suo compito più alto.
Un consigliere comunale è politicamente colpevole quando:
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non vigila,
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non denuncia,
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lascia spazio, anche tacitamente, agli interessi mafiosi.
La negligenza non è una scusante: è colpevolezza politica.
Oggi, chi si ricandida senza fare i conti con la realtà — quella concreta di un Comune sciolto per mafia — finge che tutto possa ricominciare da capo. Ma non è così. Chi ha goduto della poltrona, dello stipendio pubblico, dell’onore (immeritato) di rappresentare i cittadini, non può essere equiparato a chi ha assistito impotente da fuori.
Noi cittadini, che non abbiamo mai avuto il potere, ma subiamo le sue conseguenze, abbiamo il diritto di dire basta.
È giusto e doveroso chiedersi: se rivediamo gli stessi nomi, gli stessi volti, le stesse logiche, cosa ci garantisce che il disastro non si ripeterà? La verità è che ripresentare gli stessi consiglieri significa riproporre gli stessi meccanismi malati, la stessa permeabilità al malaffare, la stessa incapacità di dire no.
La credibilità politica non è un diritto acquisito. È una conquista quotidiana. Chi ha fatto parte della gestione che ha portato allo scioglimento del Comune ha perso il diritto morale — e politico — di chiedere ancora fiducia.
Ricandidarsi dopo lo scioglimento per mafia non è solo inopportuno. È offensivo. È un oltraggio alla memoria di quel 18 aprile 2025, data che resterà come una macchia nera nella storia amministrativa di Caserta.
La politica, quella vera, sa chiedere scusa. Ma da quel Venerdì Santo ad oggi, nessuno l’ha fatto.
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