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Blogger, giornalista… Dimentica il tesserino e inizia a scrivere!

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Per fare il blogger mi serve il tesserino da giornalista? Devo registrare il mio blog al tribunale come se fosse un giornale online? Sono domande che i blogger mi rivolgono spesso ad alta voce. Ci sono poi quelle che invece si fanno fra sé e sé. Un blogger e giornalista sono la stessa cosa? Una fashion blogger una blogger di moda, ha lo stesso valore del direttore di una testata femminile? Pur avendo un blog di successo, continua a percepire un senso di inferiorità nei confronti dei giornalisti?

Se ti capita o ti è capitato di porti domande del genere sappi prima di tutto che sei in ottima compagnia. Da parte mia posso consigliarti questo: dimentica il tesserino e non preoccuparti dell’Ordine, perché ne l’uno né l’altro hanno un futuro.

Apri invece un blog e riempilo di giornalismo vero. Scrivi bene, rispetta l’etica e non copiare contenuti dei blogger famosi. L’essenza del giornalismo è questa. E vale comunque: sia che tu sia un blogger o un redattore del Corriere della Sera. Detto ciò, eccoti la risposta completa, che è un po’ la seconda puntata di questo articolo su come diventare giornalista nell’era del web

I blogger hanno un’etica professionale, come i giornalisti

Uno dei possibili approcci a questo tema riguarda l’etica. In Italia, Paese di leggi e regolamenti, giornalisti sono tutelati da un ordine professionale e devono, o dovrebbero, attenersi a un codice etico. Si chiama Carta dei Doveri del Giornalista ed è stato redatto nel 1993 a seguito di un dibattito fra l’Ordine dei Giornalisti e la Federazione della Stampa. Mille e ottocento parole che dicono sostanzialmente cinque cose: un giornalista deve sempre verificare le fonti delle notizie che pubblica, rispettare la dignità delle persone, evitare di diffamarle arbitrariamente e senza prove concrete, rifiutare regali più o meno palesi di usare a proprio favore le informazioni di cui dispone. Nel caso commetta un errore, inoltre, un giornalista è tenuto a garantire il diritto di replica, cioè a consentire alla parte lesa di dire la sua nello stesso ambito su cui l’articolo è stato pubblicato.

Per i blogger non esiste niente del genere. Niente regole, niente codice etico. E nemmeno niente obblighi, fatta eccezione per quelli previsti dalla Legge. La diffamazione, per esempio, è un reato e si applica a chiunque, blogger e giornalisti compresi.

La comunità dei giornalisti italiani, tradizionalmente elitaria e affezionata ai propri privilegi, non ha dei blogger un’opinione particolarmente positiva. Gran parte di essa tende ancora oggi a considerarli come individui qualunque che esprimono la propria opinione usando Internet come megafono e il SEO come trucco per emergere. È una posizione non soltanto retrograda, ma anche piena di falle pericolose. Non per i blogger, ma per il futuro stesso del giornalismo. Infatti, mentre gran parte dei 110 mila giornalisti italiani “con la G maiuscola” lottano per mantenere i propri privilegi, i blogger prendono, giorno alla volta, il loro posto.

Essere un giornalista non significa fare giornalismo. E vice versa

Ed eccoci di fronte a un paradosso. I giornalisti ufficiali faticano a trovare lavoro e hanno sempre meno spazio di manovra. Dovrebbero rispettare un codice etico, ma spesso, troppo spesso, non lo fanno (se non sei d’accordo scrivilo nei commenti: ti dimostrerò che ho i miei buoni motivi per dirlo). Anche nei grandi giornali, la verifica delle fonti è diventata virtualmente impossibile per svariati motivi.

Pensa che all’inizio del Secolo scorso più dell’80% delle notizie era prodotto dai giornalisti, mentre oggi la situazione si è ribaltata e sono gli uffici stampa, privati e pubblici, a produrre le notizie che vengono poi usate dai giornalisti. Perfino le agenzie di stampa, che teoricamente dovrebbero essere le fonti più neutrali, risentono spesso della pressione di governi e grandi aziende. I giornalisti italiani non possono farsi pagare viaggi dalle aziende ed effettivamente, da qualche anno a questa parte, non lo fanno più: hanno aggirato il problema mandando i freelance al loro posto.

E intanto i blogger, privi di vincoli legali e spesso lontani dai riflettori, si sostituiscono ai giornalisti in quello che è il loro vero lavoro: imparare cose da chi le sa, verificarle e trasmetterle al maggior numero di persone possibile. Come fanno? Hanno scelto di imparare due lingue invece di una: quella del giornalismo e quella di Internet. Usano WordPress, imparano a usare le parole chiave. Attenzione: non parlo di tutti i blogger, ma di quelli che hanno preso sul serio questa attività.

Quando cerchi un’informazione fai presumibilmente come me: apri il tuo browser e scrivi quello che stai cercando. Diciamo che ti interessa sapere chi è Matteo Renzi? Apri Google, e scrivi “chi è Matteo Renzi”.

I risultati cambiano rapidamente su Google, ma mentre scrivo ho trovato quanto segue. Il primo risultato in assoluto non è Wikipedia (cosa che di solito accade), ma un blog: quello di Matteo Renzi, in cui lo stesso Renzi spiega chi è. Al secondo posto c’è un post di un’organizzazione politica che contraddice essenzialmente ciò che Renzi dice si sé. Terzo posto: Il Portaborse: uno dei blogger più noti d’Italia. E poi Il Fatto Quotidiano (nota testata giornalistica), Giornalettismo (altra testata registrata che assomiglia però più a un blog che ha un giornale della proprio) e via discorrendo. Insomma: ho cercato la risposta a una domanda di grande rilevanza e attualità e ho trovato la maggior parte delle risposte non sui giornali, ma sui blog.

Detto questo, la domanda rimane: un blog è un giornalista oppure no?

I blogger sono giornalisti? Negli Stati Uniti sì, in Italia no

In Italia, ufficialmente, non lo è. La Cassazione ha sancito nel 2012 che i blog non sono soggetti alla legge sull’editoria e non possono essere considerati nemmeno stampa clandestina. Non solo. Avendo pubblicato la stessa notizia, nel 2014 un giornalista professionista e un blogger hanno ottenuto trattamenti opposti. Il giornalista è stato assolto, mentre il blogger è stato condannato per diffamazione e rischia il carcere.

Nel 2007, durante il governo Prodi, è stato proposto un disegno di legge che avrebbe equiparato i blog alle testate giornalistiche. Un bene, almeno in teoria. Solo che in Italia, dove tutto sembra diventare più complicato di come potrebbe essere, gli stessi blogger si sono ribellati perché il disegno di legge prevedeva che ogni blogger venisse registrato presso il tribunale di appartenenza e avesse un direttore responsabile, che secondo la legge italiana deve essere un giornalista professionista. Una contraddizione logica che ha infatti affondato quello che è stato definito il decreto ammazzablog.

I giornali stanno diventando aggregatori di blog

Paese, diventare giornalista pubblicista, o addirittura professionista, resta un obiettivo per migliaia di ragazze e ragazzi. Ma mentre in Italia pare si faccia di tutto per mantenere una netta distinzione fra i blog e le testate giornalistiche, nel mondo (Italia compresa) stanno accadendo due cose molto importanti.

La prima: negli Stati Uniti la Corte Suprema si è espressa nel gennaio del 2014 dichiarando che un blogger ha gli stessi diritti e doveri di un giornalista, almeno per quanto riguarda il primo emendamento della Costituzione che riguarda la libertà di espressione. Nella sentenza si legge, cito testualmente:

Il primo emendamento non consente di applicare una distinzione tra la stampa istituzionale e altri soggetti.

Con l’avvento di internet e il declino della carta stampata, la linea che separa i media da altri soggetti che commentano temi politici e sociali diventa ogni giorno più sfumata

In America, insomma, dove non esiste un Ordine Professionale per chi scrive su un giornale, i blogger hanno gli stessi diritti e doveri dei giornalisti. Un giornalista politico si confronta quotidianamente con blogger che non hanno mai svolto un praticantato giornalistico e che un tesserino da pubblicista non sanno nemmeno cosa sia.

La seconda cosa che sta accadendo è ancora più importante, per i blogger, i giornalisti e coloro che li leggono. Il concetto di redazione, che è stato per più di un secolo il cuore dei giornali, sta morendo. Questo perché le fonti di informazione assomigliano sempre di meno a un giornale e sempre di più a un insieme di blog. Meno brainstorming quindi, meno riunioni di redazione e meno scambio di informazioni fra chi scrive.

Non è una buona notizia, ma il processo in atto è incontrovertibile: i giornali più letti assomigliano sempre di meno a una testata tradizionale e sempre di più a un insieme di blog indipendenti.

Vediamo se è vero. Secondo Alexa (una specie di Auditel mondiale per i siti web) l’Huffington Post è il 181° sito italiano. Il paragone più naturale sarebbe con l’edizione online de L’Espresso, che appartiene allo gruppo editoriale e ha un’audience simile, Ma È stato inserito nel dominio di Repubblica.it, Il che rende il paragone poco indicativo. Ma Panorama.it il suo concorrente, è, secondo Alexa, solo al 256º posto.

Sia Panorama che l’Huffington Post pubblicano notizie e opinioni. Sono considerati entrambi da Google come fonti accreditate di notizie. Ma l’Huffington Post non è un giornale. Fin dalla sua nascita, nel 2005, è sempre stato un aggregatore di blog, un sito che assembla notizie e pareri prodotti da singoli individui e non coordinati all’interno del processo classico di una redazione.

Lo storico settimanale americano Newsweek, affondato nei propri debiti, è stato comprato nel 2010 dal blog The Daily Beast, che l’ha rivenduto due anni più tardi alla casa editrice Ibt Media un editore specializzato.

E quindi, ti chiederai: chi sono i blogger?

Al di là dei cavilli legislativi, della tutela dei privilegi acquisiti e purtroppo anche della crisi del concetto di relazione, i blogger sono giornalisti a tutti gli effetti. Svolgono lo stesso ruolo nella società, producono in molti casi informazione di qualità maggiore rispetto a quella prodotta dai giornali tradizionali, realizzano inchieste di grande spessore, esprimono opinioni autorevoli.

Inoltre, hanno un vantaggio abissale rispetto ai giornali tradizionali: costano infinitamente di meno e quindi sono meno vincolati dagli investitori pubblicitari, il che li rende paradossalmente più indipendenti dei grandi giornali come il New York Times, il Guardian, il Corriere della Sera e le testate più accreditate del mondo.

Vuoi il tesserino? Non ti servirà

L’Ordine italiano dei Giornalisti non è ancora morto, lo sarà molto presto. Se vuoi diventare giornalista, non pensare al tesserino e soprattutto non aspettare che un giornale ti assume: non accadrà. Concentrati invece sui contenuti: apri un blog o partecipa a un aggregatore, scrivi cose interessanti, originali e approfondite.

Verifica le tue fonti, esci di casa e non limitarti a cercare su Internet, abbi rispetto per gli altri ed evitare di scrivere cosa pensi solo perché lo pensi. E quando lo avrai fatto, fai il modo di essere letto dal maggior numero di persone possibile. Impara quindi la lingua di Internet: trova il modo per posizionare ciò che scrivi in più in alto possibile nella classifica di Google, senza cedere alla tentazione di scrivere per Google invece che per i tuoi potenziali lettori.

E quando da blogger incontrerai qualcuno che sbandiera il proprio tesserino da giornalista non essere in soggezione: è possibile che il tuo ultimo post sia più utile, interessante e autorevole dell’ultima notizia che quel giornalista ha pubblicato sul suo giornale.

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