CASERTA NON E’ SOLO REGGIA … #CEDIPIU’

Caserta, per quasi  la totalità dei turisti, significa “Reggia”. Sono in molti (purtroppo) a fermarsi alla superficie, a non andare al di là dello splendido complesso vanvitelliano, forse troppo sfarzoso e noto per lasciare spazio a qualsiasi altra cosa non siano i suoi viali, le sue sale monumentali, le fontane o il giardino inglese. Eppure Caserta,…

Caserta, per quasi  la totalità dei turisti, significa “Reggia”. Sono in molti (purtroppo) a fermarsi alla superficie, a non andare al di là dello splendido complesso vanvitelliano, forse troppo sfarzoso e noto per lasciare spazio a qualsiasi altra cosa non siano i suoi viali, le sue sale monumentali, le fontane o il giardino inglese.

Eppure Caserta, con la sua provincia, racconta millenni di storia locale e nazionale, dall’Ager Campanus degli antichi romani alle splendide vallate del Matese che si estendono fino al Molise.

In questo piccolo viaggio ci proponiamo di far luce su alcuni di questi territori, troppo spesso dimenticati o “sfruttati” dal turismo mordi e fuggi, giusto il tempo di un pic-nic o di una gita fuori porta.

Borgo di Casertavecchia – Caserta

Casertavecchia si chiama così poiché la sua posizione geografica non era tra le più raggiungibili. L’antico borgo cittadino era infatti costruito alle pendici dei monti Tifatini, a un’altezza di circa 400 metri sul livello del mare. Il nome “Cashirta” era una fusione fra “casa” (intesa come villaggio) e “hirta” (aspra, ripida, di difficile accesso). E chiunque si rechi, oggi, nello splendido borgo antico della città sa bene di cosa parliamo.

casertavecchia

Le prime notizie di un agglomerato urbano risalgono all’861, grazie alla testimonianza di un monaco Benedettino di nome Erchempeto. Successivamente, nell’879, il borgo fu appannaggio del Conte Pandulfo di Capua, città che ne conserverà il dominio fino al 1062, quando i normanni occuparono il territorio con Riccardo I di Aversa. Fu questo il periodo di maggiore splendore per il piccolo centro urbano, che fino al 1129 vide triplicare la popolazione e costruire le maggiori opere architettoniche e monumentali ancora oggi visibili, come la splendida Cattedrale che verrà consacrata a San Michele Arcangelo. Il borgo passò poi sotto l’egida degli svevi, che ne accrebbero l’influenza in campo politico e militare, e successivamente degli aragonesi (1442), che ne segnano l’inizio della fine. La vita sociale, difatti, comincerà da allora in poi a svilupparsi nella più accogliente e facilmente raggiungibile pianura, dove oggi sorge l’attuale Caserta, che diventerà nuovo centro cittadino nel 1842, quando Papa Gregorio XVI sancisce il trasferimento del vescovado e del seminario.

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Il Real Sito di Carditello – Caserta

Il Real Sito di Carditello, detto anche Reale tenuta di Carditello o Reggia di Carditello, in provincia di Caserta, venne creato nel 1744 da Carlo di Borbone, che vi aveva impiantato un allevamento di cavalli.

Faceva parte di un gruppo di 22 siti (tra i quali la Reggia di Caserta, la Reggia di Portici, la Reggia di Capodimonte e il Palazzo Reale di Napoli) della dinastia reale dei Borbone di Napoli, luoghi dedicati allo svago e alla caccia della famiglia reale – e chiamati per questo “Reale Delizia” –  talora sede anche di attività agricole, spesso impiantate con mezzi moderni, miranti a sperimentare delle fattorie-modello.

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Ricevette nuovo sviluppo con Ferdinando IV, che vi introdusse – nel quadro dei suoi progetti sociali ed economici di stampo illuminista anteriori alla rivoluzione napoletana – l’allevamento dei bovini e la fabbricazione dei formaggi, incaricando l’architetto Francesco Collecini (1787), collaboratore di Luigi Vanvitelli, della costruzione di un grande complesso, comprendente una residenza reale e ambienti destinati ad azienda agricola.

Lo spazio retrostante alla palazzina venne diviso in cinque cortili destinati alle attività agricole, mentre l’area antistante – riservata alle corse dei cavalli – fu risolta alla maniera di un antico circo romano: una pista in terra battuta, con i lati brevi semicircolari, che circonda un prato centrale; alle estremità due fontane con obelischi in marmo, al centro del prato un tempietto circolare, da cui il re assisteva agli spettacoli ippici (il modello del sito è stato esposto alla mostra napoletana del 1980).

Nell’Archivio di Stato di Napoli nel fondo Dipendenze della Sommaria (fasc. nn. 69, 69II, 74, 74II) sono conservate ricevute di pagamento firmate e controfirmate dall’architetto Collecini “capitano ingegnere delle Reali fabbriche di Carditello” sino al 19 genn. 1804 (per la storia di Carditello v. anche: G. Starrabba – G.B. Rosso – S. Gavotti, Ilreal sitodi Carditello, Caserta 1979).

La soluzione adottata per la reggia fu quella di un organismo a doppio T, rigorosamente simmetrico: al centro il casino reale – di nobili linee neoclassiche, coronato da una balaustra e da un belvedere – da cui partono i lunghi corpi bassi delle ali riservate all’azienda.

All’interno della palazzina si dipartono a destra e a sinistra due scale che portano al piano nobile, con decorazioni (affreschi e stucchi) che si richiamano all’arte venatoria di cui i Borbone erano appassionati. Dallo stesso piano nobile il re, la famiglia e i dignitari potevano, affacciati alle balaustre, seguire le funzioni celebrate nella Cappella sottostante, posta nella parte centrale, con cupola e pareti delicatamente affrescati.

Fedele Fischetti, pittore napoletano, uno dei decoratori del palazzo reale di Caserta, nel 1791 eseguì alcuni affreschi nella volta del salone principale del Real Sito di Carditello, lavorandovi fin quasi alla morte, avvenuta a Napoli il 25 gennaio 1792. I soffitti sono di Giuseppe Cammarano, pittore siciliano, di Sciacca, considerato il principale esponente, insieme con C. Angelini, della pittura neoclassica napoletana, mentre il paesaggista prussiano Jakob PhilippHackert, detto Hackert d’Italia, chiamato a Napoli  da re Ferdinando IV, decorò le pareti con scene campestri che rappresentavano la famiglia reale.

La maggior parte dei marmi e degli arredi che abbellivano la palazzina è stata sottratta negli anni e utilizzata in altri siti, solo una piccola parte si trova in musei o altre residenze reali.

Gli edifici circostanti, a suo tempo adibiti a magazzini e stalle, e tuttora contenenti antiche attrezzature agricole, a documentazione delle attività che vi si svolgevano, sono quasi tutti in stato di grave degrado. La reggia si trova in stato di abbandono, come pure  la parte residua della tenuta dopo che i 2000 ettari originari, che la circondavano, sono stati in massima parte venduti.

Nel 2011 un’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto la vendita del Real Sito di Carditello, ma le undici aste bandite al 2013 non sono andate a buon fine.

Nel 2014, grazie all’intervento del ministro per i Beni, le attività culturali e il turismo M. Bray, è stato firmato un accordo preliminare tra la Società Gestione Attività, che ha rilevato i crediti del Banco di Napoli, e il Ministero, che prevede la cessione del complesso edilizio al Mibact.

Nel 2015 è stato firmato l’accordo per la “Valorizzazione del Real Sito di Carditello” tra il Ministero, la Regione Campania, la Prefettura di Caserta e il Comune di San Tammaro: l’accordo costituisce il primo passo per la nascita della “Fondazione Istituzionale per il Real Sito di Carditello”.

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REAL SITO SAN LEUCIO

Il Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio, nasce dal sogno di Re Ferdinando di dar vita ad una comunità autonoma (chiamata appunto Ferdinandopoli)

Veduta del Belvedere

Il re Carlo di Borbone, consigliato dal ministro Bernardo Tanucci, pensò di formare i giovani del luogo mandandoli in Francia ad apprendere l’arte della tessitura, per poi lavorare negli stabilimenti reali. Venne così costituita nel 1778, su progetto dell’architetto Francesco Collecini, una comunità nota come Real Colonia di San Leucio, basata su uno statuto apposito del 1789 che stabiliva leggi e regole valide solo per questa comunità. Alle maestranze locali si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e messinesi che si stabilirono a San Leucio richiamati dai molti benefici di cui usufruivano i lavoratori delle seterie.
Ai lavoratori delle seterie veniva infatti data una casa all’interno della colonia, ed era inoltre prevista anche per i familiari la formazione gratuita e qui il re istituì difatti la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali, e le ore di lavoro erano 11, mentre nel resto d’Europa erano 14.

 

Veduta quartiere ferdinandopoli

Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo (infatti ancora oggi sono abitate) e fin dall’inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici. Alle donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, anche se a disposizione di tutti vi era una cassa comune “di carità”, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. Non c’era nessuna differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l’uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata, garantita l’assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fratellanza.
Si trattò di, un modello di giustizia e di equità sociale nuovo per le nazioni del XVIII secolo ispirato ad una forma di socialismo illuminato.
Il re Ferdinando IV di Borbone aveva molto a cuore la colonia e progettò di allargarla anche per le nuove esigenze industriali dovute all’introduzione della laviorazione della seta e della manifattura dei veli, quindi per costruirvi una nuova città da chiamare Ferdinandopoli concepita su una pianta circolare con un sistema stradale radiale ed una piazza al centro per farne anche una sede reale, non vi riuscì ma nei quartieri annessi al Belvedere mise in atto un codice di leggi sociali particolarmente avanzate, ispirate all’insegnamento di Gaetano Filangieri e trasformate in leggi da Bernardo Tanucci.
Lo stesso Ferdinando IV firmò nel 1789 un’opera straordinario che conteneva i principi fondanti della nuova comunità di San Leucio:Origine della popolazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d’oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie. Tale codice, voluto dalla consorte Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, fu edito dalla Stamperia Reale del Regno di Napoliin 150 esemplari. In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città venne accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie ed edifici, tra cui il Palazzo del Belvedere. Il progetto utopico del re Ferdinando finì con l’unità d’Italia quando tutto venne inglobato nel demanio statale, ma tradizione e qualità nelle produzioni di tessuti serici sono rimaste ancora oggi.
Nel Complesso Monumentale le espressioni artistiche fanno da eco alla vita del piccolo borgo industriale. le testimonianze della presenza della famiglia reale sono quasi un tutt’uno con quelle delle varie attività degli operai e dei maestri della seta, dell’attività scolastica, delle abitazioni delle maestre e del direttore.
Percorrendo il Belvedere, si passa davanti al Quartiere Trattoria, che è stato l’unico edificio costruito per Ferdinandopoli: ospitava i visitatori.
Quindi si entra nella “Reale Colonia di san Leucio” attraverso un cancello sormontato da un arco sovrastato dallo stemma reale sostenuto due leoni. A destra e a sinistra, sono presenti due casamenti dei quartieri operai, il san Carlo e il san Ferdinando, che comprendono trentasette unità abitative. I quartieri operai sono collegati al palazzo del Belvedere da una scalinata a doppia rampa che racchiude le scuderie reali. Le due rampe terminano sul piazzale del Belvedere, davanti all’ingresso della chiesa dedicata a san Ferdinando Re, ricavata dal salone delle feste del Belvedere nel 1776.

Si costeggia l’edificio per cinquanta metri e si arriva all’ingresso del Complesso Monumentale, da cui si possono vedere, in alto a destra, il lungo edificio della filanda che è sottostante alla cuculliera, dove venivano allevati i bachi da seta.

Nell’appartamento reale, di particolare rilevanza, gli affreschi del soffitto della stanza da pranzo eseguiti dal Fedele Fischetti con scene allegoriche degli amori di Bacco ed Arianna nonché il bagno di Maria Carolina, con, alle pareti, disegni ad encausto di Philipp Hackert rappresentanti figure allegoriche.
belvedere 3

È d’obbligo la visita della fabbrica serica , interessante percorso di archeologia industriale, con sale con strumenti per la produzione e lavorazione della seta, un’ampia sala con telai in legno perfettamente funzionanti, mostra di manufatti, la cuculliera e la filanda.

filanda

Di notevole interesse, a piano terra, i due grandi torcitoi che una volta erano mossi da macchine idrauliche, oggi da motori. I due torcitoi sono stati ricostruiti sugli antichi disegni esistenti.
Nella parte occidentale del Casino Reale del Belvedere vi sono una serie di giardini all’italiana posti su piani diversi e collegati da apposite scalette. All’interno sono presenti delle fontane intorno alle quali, sono posti alberi da frutta: pero, melo, limone, pesco,albicocco, susino, melograno, oltre ad un giardino di agrumi

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Anfiteatro romano – Santa Maria Capua Vetere

A Santa Maria Capua Vetere  sorge il secondo anfiteatro più grande d’Italia dopo il celeberrimo Colosseo di Roma (165 metri sull’asse maggiore, 135 su quello minore). Costruito tra il I e il II secolo dopo Cristo, su di un anfiteatro più piccolo d’epoca graccana, l’edificio si divide nelle canoniche ima, media e summa cavea, attico. Le ottanta facciate sono realizzate in blocchi di calcare, ognuno di uguale ampiezza, a eccezione di quelle poste in corrispondenza dei quattro punti cardinali, più grandi perché costituivano gli ingressi alla struttura.

anfiteatro_campano

L’anfiteatro era adibito, come di consueto, perlopiù a spettacoli gladiatori, con tavoloni di legno cosparsi di sabbia per consentire al sangue dei contendenti di assorbirsi senza provocare troppi disagi alle successive operazioni di pulizia, che avvenivano grazie a una cisterna in opus reticulatum posta nel lato orientale della struttura. Durante il dominio gotico e longobardo l’edificio continuò ad avere funzione di arena; poi, dopo la distruzione della città nell’841 d.C. ad opera dei Saraceni, venne trasformato in una fortezza. A partire dal periodo della dominazione sveva divenne cava di estrazione di materiali lapidei reimpiegati nella costruzione degli edifici della città. Parzialmente scavato tra il 1811 ed il 1860, fu definitivamente liberato dagli enormi ammassi di terra tra il 1920 ed il 1930, con numerosi successivi interventi di restauro conservativo nel tempo.

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Real Casa Santa e Arco dell’Annunziata – Aversa

Il celebre arco che segna l’ingresso al centro storico di Aversa fu costruito nel 1777 per collegare la Trecentesca Real Casa Santa, istituto per l’assistenza a orfani e infermi, alla torre campanaria del 1712, sorta a sua volta in sostituzione di quella lignea e ormai fatiscente d’epoca Quattrocentesca. Una commistione unica di stili e gusti architettonici, che culminano nel poderoso orologio a doppia faccia che sormonta l’arcata e segna da centinaia d’anni il trascorrere delle giornate aversane. La Real Casa Santa è sicuramente il “pezzo forte” del complesso: la sua esistenza è attestata da un documento della Santissima Annunziata di Sulmona del 1320.

annunziata

Successivamente, nel novembre 1423, la Regina Giovanna II donò all’edificio i beni dell’ospedale di Sant’Eligio, con diritto di patronato regio. Particolarmente pregevoli sono i bassorilievi posti all’ingresso della Casa Santa, sormontati da un arco a tutto sesto risalente al 1518. Le due figure rappresentano, da un lato, la “Resurrezione” (a destra) e dall’altro la “Creazione del mondo”. Le altre figure allegoriche presenti sull’arcata sono, probabilmente, da attribuire a vicende legate a Rainulfo Drengot, normanno, fondatore della contea aversana dopo la cessione avvenuta per mano del Duca di Napoli.

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Casale di Teverolaccio – Succivo

Tra Succivo e Orta di Atella, l’antico Ager Campanus d’epoca romana, si erge uno splendido casale d’età Aragonese, quando venne costruita la torre che costituisce il nucleo primitivo dell’edificio. La zona, all’epoca, era tra le più fertili dell’intero territorio nazionale, fin dall’epoca degli antichi romani, e tale resterà fino allo scempio che camorristi e politici collusi hanno perpetrato, facendo diventare l’area tristemente nota come “terra dei fuochi”.

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In epoca Aragonese, la torre costituiva un comodo punto di controllo posto tra Aversa, Capua e Napoli, centri urbani spesso in lotta fra loro. Il palazzo Baronale venne costruito sotto il baronato dei Palumbo, tra il 1520 e il 1539, costituita da un corpo lungo che avrebbe poi inglobato la torre Aragonese. Tutto intorno svariati ettari coltivati a vite maritata (la stessa da cui si ricava l’Asprinio) e grano. Il casale di Teverolaccio è sempre stato un simbolo di fecondità, soprattutto dopo il suo acquisto da parte di Ascanio Filomarino, nipote del famoso cardinale, che lo utilizzò per una fiera che, in breve tempo, riscosse notevole fama in tutti i territori confinanti, tra alimenti genuini e vino buono. Tradizione continuata fino a oggi, visto che il casale ospita tutt’ora l’Eco Museo di Terra Felix e alcuni orti sociali. Un cuore di salute e benessere nel centro della “terra dei fuochi”, dove ogni anno si tiene anche la rassegna di “Festambiente”

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Teatro romano – Teano

Il più antico teatro d’Italia interamente costruito su volte si trova a Teano, provincia di Caserta, famosa per l’incontro fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II dopo la battaglia del Volturno. A Santa Maria Capua Vetere combattevano i gladiatori, qui si potevano gustare spettacolo teatrali all’aria aperta, come da tradizione nel teatro greco-romano. L’edificio comincia ad assumere prestigio con l’età di Augusto, quando l’antica Teanum Sidicinum viene innalzata a rango di colonia romana. Nel III secolo la struttura viene completamente rinnovata, prima sotto Settimio Severo, poi sotto Gordiano III. Sin dal IV secolo d.C., e di nuovo tra il VIII ed il IX secolo, sulle rovine dell’edificio, probabilmente crollate per un terremoto, si impiantò un cantiere di spoglio teso al recupero ed al riutilizzo dei materiali architettonici di marmo.

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Tra il XII ed il XIII secolo sulla cavea ormai interrata fu costruito un quartiere artigianale per la produzione di mattoni e ceramica. In età moderna la strada campestre che dagli orti conduceva alla città passava nelle rovine, oramai dette Grotte, ed al loro interno fu costruito un altare dedicato alla Madonna, più volte restaurato e sede di un culto tributato sino agli anni “60 del XX secolo, quando cominciarono gli scavi archeologici condotti da Werner Johannowsky. Negli ambulacri sono esposti reperti provenienti dagli scavi 1998-2008 e plastici ricostruttivi delle fasi del teatro. Oggi il teatro è liberamente visitabile, gratuitamente, senza biglietti o prenotazioni.

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Lago del Matese – San Gregorio Matese e Castello del Matese

Dal Molise alla Campania, da Isernia a Caserta, passando per Campobasso e Benevento, il complesso montuoso del Matese è sicuramente uno dei più belli e suggestivi d’Italia. Gli sterminati territori dell’Alto Casertano non regalano solo perle di storia, ma anche scorci ineguagliabili a pochi passi dalle nostre città. Un luogo dove trovare pace e ristoro è sicuramente il Lago del Matese, posto tra i Comuni di San Gregorio e Castello del Matese, il più alto lago di natura carsica di tutta Italia, sito ai piedi del Monte Miletto a 2.050 metri sopra il livello del mare. L’acqua dello specchio lacustre è assicurata dallo sciogliersi delle nevi del monte Miletto, che cela anche alcune sorgenti perenni che assicurano alla conca una perenne idratazione. È uno dei luoghi d’Italia dove è possibile avvistare la cicogna e il fenicottero rosa, nonché oche, folaghe, marzaiole e germani reali. Per quanto riguarda la fauna lacustre, i pesci più diffusi sono il luccio, la trota, la tinca, la carpa e il pesce persico.

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Borgo medievale – Prata Sannita

I borghi medievali del centro Italia, dalle Marche alla Toscana, sono tra i più belli del Paese. Eppure anche da noi, al Sud Italia, vi sono agglomerati urbani poco conosciuti che meriterebbero notorietà internazionale, al pari di San Gimignano, Volterra o Norcia. Ci troviamo a Prata Sannita, quasi ai confini col Molise, nel piccolo borgo di Prata Sannita, costruito su un costone di roccia alla destra del fiume Lete. Le notizie della fondazione sono anteriori all’anno Mille, ma l’attuale conformazione dell’abitato venne raggiunto in pieno periodo Rinascimentale, nel 1500 circa. Le case sono addossate l’una all’altra com’era tipico delle conformazioni urbanistiche del periodo, che permettevano una migliore difesa del borgo e dei suoi abitanti. Al di sopra del borgo sorge il poderoso castello, in parte ancora cinto dalle mura merlate sul lato Est. Il primo impianto risale all’epoca Longobarda, quando a seguito della distruzione di Prata Piana ad opera dei saraceni, i superstiti decisero di riparare in un luogo meno accessibile alle scorrerie dei predoni. La cinta muraria, costruita nel Quindicesimo secolo per volere dei Conti Pandone, è in gran parte conservata.

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