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San Leucio: il sogno incompiuto di Ferdinando IV e il muro borbonico abbattuto

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San Leucio, nella visione illuminata di Ferdinando IV di Borbone, doveva diventare un modello urbanistico, architettonico e sociale all’avanguardia per tutto il Regno di Napoli. Un’utopia concreta, concepita per fondere innovazione e giustizia sociale. Tuttavia, in pochi sanno che il progetto originario, firmato dall’architetto Francesco Collecini su incarico diretto del re, non venne mai realizzato nella sua interezza.

Il disegno radiocentrico della colonia, descritto dallo storico Patturelli e rielaborato graficamente da studiosi come Richard Plunz ed Eugenio Battisti, fu solo parzialmente messo in opera. A oggi, restano visibili solo alcuni “spicchi” dell’ambiziosa pianta, corrispondenti agli attuali quartieri di San Ferdinando e San Carlo, con il Quartiere Trattoria a valle e il Belvedere a monte.

Il muro abbattuto e il silenzio delle istituzioni

Uno degli episodi più gravi nella recente gestione del patrimonio leuciano riguarda l’abbattimento di un tratto del muro borbonico lungo la Strada Statale 87 Sannitica, nei pressi dell’ingresso alla Vaccheria, lungo via Cappuccio. Nel luglio 2021, con regolare autorizzazione del Comune di Caserta, è stato demolito un segmento del muro settecentesco in tufo. A sorprendere è stata l’assenza di un’opposizione chiara da parte della Soprintendenza per le province di Caserta e Benevento, che ha lasciato passare in silenzio la SCIA 79684 del 16 luglio, relativa all’“apertura di un varco carrabile e sistemazione della vegetazione”.

Secondo la denuncia dell’associazione CasertaKest’è, lo scopo reale dell’intervento sarebbe stato la creazione di un accesso per bus turistici. Tuttavia, a distanza di anni, nessun bus ha mai utilizzato quel varco: i mezzi continuano a sostare, indisturbati, nella più centrale piazza della Seta.

Un patrimonio UNESCO violato

L’idomita associazione di Caserta con i suoi membri hanno evidenziato come il tratto di muro abbattuto rientrasse nell’ambito del sito UNESCO del Belvedere di San Leucio. Un danno grave, aggravato dal fatto che, come ricorda lo storico Pignataro, proprio in quel punto il muro era chiaramente indicato nella Pianta del Recinto del Real Bosco e Delizie, redatta da Domenico Rossi nei primi anni dell’Ottocento. La demolizione ha quindi cancellato una porzione di storia documentata e riconosciuta.

La questione del vincolo eluso

Ma come è stato possibile procedere con i lavori nonostante l’esistenza di vincoli paesaggistici e storici? «È lo stesso dubbio che sollevammo allora – afferma Pignataro – ma si creò il solito scaricabarile tra Comune e Soprintendenza. Nessuna risposta chiara è mai arrivata». Una volta abbattuto, prosegue, non basta certo “rimettere a posto”: «Quelle pietre portavano con sé la patina del tempo. Ricostruirle ex novo è una forzatura, un falso storico. Serve una logica di conservazione autentica, non di rimozione e sostituzione».

Pignataro sottolinea come, in alternativa, si sarebbe potuto chiedere al privato almeno la manutenzione dell’intero tratto ricadente nella sua proprietà. Inoltre, trattandosi di un muro di contenimento, l’assenza di interventi tecnici adeguati può generare rischi concreti di cedimenti, specie in una zona classificata dal PRG come E1 (area rurale con vincolo paesaggistico) e soggetta a rischio frana elevato (P4, R4).

Una lezione culturale da non ignorare

La questione si intreccia con il più ampio tema del restauro e della tutela del patrimonio. «Esistono teorie precise, filologiche, su come intervenire su beni storici. Il restauro del Belvedere del 1997 lo dimostra, anche se oggi, purtroppo, versa nuovamente in condizioni critiche», afferma il presidente Guerriero. «Provocatoriamente, direi che dovremmo tornare a leggere John Ruskin, che già nell’Ottocento ci ammoniva a non sostituire la pietra antica. È una questione di sensibilità culturale: bisogna insegnare a riconoscere e valorizzare l’autenticità, a partire dai bambini, fin dalle scuole dell’infanzia».

Una riflessione amara ma necessaria, che ci invita a chiederci se davvero sappiamo riconoscere il valore del nostro passato. E soprattutto, se abbiamo la volontà di proteggerlo.

  
     
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