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“Sono un medico, viceministro e padre. Non eravamo preparati a questo dolore immenso”

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di Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute        

«Mi lasciano i loro cellulari, i loro messaggi, mi affidano parole per i loro cari, se non dovessero farcela. Come in guerra. Non capiscono, stanno bene, hanno il telefono in mano e stanno parlando con familiari o amici, poi d’improvviso tutto precipita. Hanno paura, piangono, gli dico di respirare, di calmarsi, gli stringo la mano, prima di addormentarli. Mi dicono “ma io ho appena preso casa per mia figlia, ho il mutuo”. Gli prometto che riferirò i loro pensieri alle mogli, ai mariti, alle figlie, ai figli. A coloro che amano e che forse non rivedranno più. Pierpaolo, quante ne abbiamo passate insieme, tu lo sai, ma ora è diverso. Non eravamo preparati a questo dolore immenso. Non così. Io piango, non lo avevo mai fatto prima, è il nostro lavoro, tu lo sai bene, devi stare concentrato, freddo o non li salvi. Li accarezzo, rimango vicino a loro durante la notte, non riesco a staccarmi, dobbiamo salvarli tutti. L’altro giorno, a casa, è tornata mia moglie, ha aperto il cancello. La conosci corre subito dai bambini, ma non si apriva la porta di casa. Sono uscito fuori, nel nostro piccolo giardino, era seduta a terra. Piangeva, ci siamo guardati, non potevo abbracciarla. Conosci le procedure, doveva spogliarsi, disinfettarsi, farsi la doccia. Era lì che piangeva e non potevamo abbracciarci, anche lei è piena di messaggi da consegnare. Come tutti noi e gli infermieri. Non eravamo preparati per tutto questo dolore».                                              Una guerra dolorosa

Lui è un amico, oltre che collega da anni. Insieme a lui ed altri medici e infermieri abbiamo salvato molti pazienti. Ricordo la dedizione di tutti. Parlo con i miei colleghi e ricevo lettere. Quelli che ho incontrato non ho potuto neanche abbracciarli, ringraziarli in silenzio con le braccia come due amici che stringono tra loro. Posso solo ascoltarli, e avvertire sulla pelle, ancora una volta, il perché facciamo questo lavoro. È una guerra. Dolorosa. Come mai prima. Sono qui che rivesto una carica politica, ma è solo avere un altro camice bianco: per i cittadini e i miei colleghi tutti. Non posso più accettare le polemiche, non mentre muoiono così tanti, vite umane, storie familiari, amati e cari. Se i miei colleghi sono in prima linea giorno e notte, non posso fare meno di loro, come abbiamo sempre fatto spalla a spalla. Dobbiamo salvarne il più possibile. Non sono accettabili le polemiche, i cialtroni, gli affaristi, e coloro che giocano proprie partite mentre c’è chi soffoca e muore per un virus. Sono un medico, prima che viceministro, e non mi darò tregua per dare tutto l’aiuto possibile agli ospedali, ai medici, agli infermieri, agli operatori del 118, a tutti coloro che sono lì, sul fronte per gli altri, per persone che non conoscono ma darebbero la vita pur di farli tornare a casa.

Ricerca della verità

Sono un medico e viceministro che non darà tregua a tutti coloro che vogliono speculare sulla morte, sul dolore, per riposizionarsi, per acquisire potere, per giocare strategie di potere, per fare affari o solo per mostrarsi mentre la morte incombe in Italia. Lo dobbiamo a tutti coloro che come stanno affrontando un dolore che non avevano mai conosciuto. Alle vittime, ai loro familiari. A coloro che ancora si ammaleranno. Quanto sono futili le polemiche, quanto invece è essenziale la verità. La ricerca della verità. Quanto è amara la sensazione che mentre i generosi stanno sul campo, gli approfittatori si nascondono per avere un qualcosa in più che forse nella vita non sarebbero mai riusciti ad ottenere se non per disgrazie altrui. Tutto è cambiato, non c’è più spazio per una società egoista, arrogante, cattiva. È il tempo dei generosi, degli altruisti, di coloro che aiutano, che cambiano l’oggi perché lo hanno sempre fatto. E lo faranno sempre. È il tempo di vedere negli altri sé stessi. Dal vicino del condominio all’essere umano oltre confine. Di amare veramente pensando al futuro. Tutto è cambiato, non esiste più uno sconosciuto ma una persona umana che ha bisogno. Dal nostro vicino che abbiamo (ri)conosciuto meglio perché siamo in quarantena, ai gesti di altruismo inaspettati, perché quando più lunga e dura è la giornata, più ci accorgiamo di non essere soli. Un quotidiano che sa di comunità, e per questo quotidiano che sta cambiando, il futuro sta diventando migliore, deve diventare migliore, non possiamo dare più alibi e spazio alle convenienze e ai sotterfugi, alla mediocrità, alla prevaricazione.

Un mondo cambiato

Sono un medico, viceministro e padre, per mio figlio che non comprende quanto sta succedendo, perché è troppo piccolo, ogni mattina mi sveglio e non mi do tregua, come fanno tutti. E gli racconterò di un mondo precedente, dove veniva prima il profitto, l’egoismo personale, la posizione politica, dove veniva detto apposta il contrario per creare audience, per un like in più, per un social da far girare e un “mondo di dopo” che invece ci aveva ravvicinati, riconosciuti tutti fragili e nella difesa dei più deboli aveva ritrovato il senso del vivere e dell’impegno quotidiano. Un mondo in cui finalmente poter respirare più liberi da corruzione e criminalità che avevano impedito di curare al meglio chi stava male. O almeno sogno questo. Non eravamo pronti per tutto questo. O forse siamo pronti per cambiare ogni giorno il futuro che vivremo per renderlo straordinario e felice. Cominciando da oggi, lo dobbiamo a noi per consolare le lacrime dei medici e degli infermieri, delle loro famiglie, versate fino ad oggi. Le lacrime dei familiari delle vittime. Questa è la determinazione che deve animarci. E dovevo scriverlo, perché condividere è il primo passo necessario per continuare a camminare con fiducia verso il domani. Affrontiamo qualcosa di nuovo e terribile e non può esserci risoluzione pensando con la testa di ieri. Né pensando di avere già la soluzione perfetta in tasca, o di essere perfetti, di non aver bisogno degli altri. Chiusura, egoismo, distanza sono esattamente l’opposto di quel che dovremmo pensare oggi quando siamo costretti ad essere lontani fisicamente gli uni dagli altri, chiusi.

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