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“Io, donna di 44 anni senza figli, offesa dal Ministro Lorenzin”

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“Io, donna di 44 anni senza figli, offesa dal Ministro Lorenzin”: la lettera di Barbara

“La bellezza non ha età. La fertilità sì”, o ancora “Datti una mossa. Non aspettare la cicogna”, sono solo alcuni degli slogan della discussa campagna Fertility day, lanciata dal Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, che ha indignato l’Italia intera. Messaggi per molti offensivi e discriminanti verso chi non può, o non vuole, avere figli.

La bufera social non si arresta, tra commenti inferociti e sfottò, ma a distanza di qualche giorno dalla campagna-bomba, anche nelle istituzioni qualcuno scoppia. Barbara esprime tutta la sua indignazione in una lettera aperta alla “DONNA” Beatrice Lorenzin, mettendo in piazza il suo privatissimo dolore di non essere madre, uguale a quello di tantissime altre donne che si sono sentite umiliate da questa campagna, violate nel loro lato più intimo.

“Cara Ministro Beatrice Lorenzin – si legge nel lungo post pubblicato da Barbara su Facebook – prima di scriverle ho voluto cercare di placare la rabbia e l’indignazione per una campagna fatta non da un privato ma dalle istituzioni, quelle istituzioni che dovrebbero avere come bene primario quello dei cittadini. Così ho messo da parte la mia riservatezza, il pudore di rendere pubblico qualcosa di molto personale. Ma di fronte alla campagna di comunicazione ‘Fertility day’ che ha avviato, non voglio e non posso restare in silenzio. Né temo ciò che la pubblica opinione possa pensare o dire strumentalizzando le mie parole. Ho trovato questa campagna offensiva, volgare e soprattutto dolorosa. Sono una donna di 44 anni che non ha avuto il dono di avere figli. Una mancanza che pesa, fa male”.

“Tanto avrei voluto essere mammacontinua Barbara – tanto avrei voluto mettere al mondo un bimbo o una bimba, perché credo che non esista gioia più grande per una famiglia. Ma così non è stato, non per scelta, così ha voluto la vita. Oggi guardare quelle immagini con la clessidra quasi fosse un gioco a tempo, quelle in cui si addita il figlio unico, quelle in cui si scandisce che il tempo che passa non torna più, mi fa terribilmente male. Perché? Perché, seppur lodevole la volontà di informazione su un tema così delicato, quelle ‘caricature’ colpevolizzano tutte le coppie e le famiglie che non hanno potuto o non hanno sentito il desiderio mettere al mondo dei figli. Inconsapevolmente colpiscono chi, ritenendo la maternità e la paternità un dono, non hanno voluto trasformare un desiderio in un diritto e non hanno dato il via alla pratica della procreazione assistita o peggio dell’utero in affitto. Ora quelle donne, quegli uomini, quelle famiglie dovrebbero sentirsi in colpa per un dono non arrivato, o magari, non nel mio caso, non voluto? Secondo le foto delle sue cartoline io oggi sarei una donna che ha permesso al tempo che scorre di prendere il sopravvento sul mio corpo privando la società di una nuova vita nascente. Dunque sono colpevole. Ma si rende conto? Come si può trasformare quella che per molti rappresenta una tragedia intima e familiare in una farsa pubblica e politicamente sponsorizzata. Dallo sfogo personale al “consiglio” politico il passo è breve e condiviso, alla luce della polemica scaturita, dall’opinione pubblica: “Pertanto, sebbene quelle immagini acuiscono la mia sofferenza, al contempo mi ripropongono con forza i tanti interrogativi su quanto invece serve veramente alle famiglie e alle coppie che non riescono o non possono completare la loro unione con la gioia di un figlio. Per esempio lei dovrebbe sapere che alle donne costrette ad un intervento di interruzione della gravidanza, il nostro servizio sanitario nazionale, anche quello privato, nella nostra regione, le ospita nei reparti di ostetricia facendo passare loro la terribile e dolorosissima giornata accanto ad altre donne che hanno appena partorito e che abbracciano, giustamente felici e commosse, la loro piccola creatura. Mi permetto da cittadina qualche consiglio. Forse sarebbe il caso che lei si battesse affinché una donna che viene a sapere che il cuoricino del piccolo che ha in grembo ha smesso di battere e dunque si trova costretta a subire un intervento di interruzione di gravidanza non si debba trovare in quello stesso reparto dove la gioia di una nuova vita si sente in ogni battito d’ali e respiro”.

“Oppure in consiglio dei ministri dovrebbe tirare fuori i denti e le unghie e battersi per riformare il sistema del nostro welfare affinché sia a favore di bambino, in modo tale che mettere al mondo figli non sia ridotto ad un fatto e un problema privato, ma rappresenti un atto di valenza sociale e dunque pubblico, quindi meritevole di sostegno. Perché senza nuove generazioni – si legge nelle ultime battute del post – la nostra società è destinata a sparire e non saranno certo le politiche di sostituzione degli italiani con gli immigrati a mantenere vive le nostre nostre radici, tradizioni, cultura e la nostra storia secolare. Ecco, visto che ha annunciato che cambierà la campagna pubblicitaria, ci faccia un favore utilizzi quei soldi per pianificare un sistema di aiuti alle famiglie totalmente abbandonate dallo Stato affinché ci siano servizi per l’infanzia dignitosi e magari non così inaccessibili per liste d’attesa o costi. Ma soprattutto da donna a donna la invito a mettersi nei panni di tutte quelle che, come me non sono riuscite a portare a termine la propria gravidanza, o alle tante altre che non sono riuscite neanche ad iniziarla e se vuole fare qualcosa di utile le suggerisco di promuovere una seria modifica della legge sulle adozioni nazionali oggi non più rinviabile. Per tutte queste battaglie troverà il mio appoggio “.

Una storia personale, ma anche un invito pubblico a riflettere e ad agire promuovendo politiche familiari concrete. Oltre l’indignazione, se il polverone alzato dalla campagna “Fertility day” servisse davvero a questo, ce ne vorrebbe almeno uno al mese.

 

 

 

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