E la colpa era del reddito di cittadinanza. Intanto mai ricevute offerte di lavoro, mai attivati i navigator in Campania. Oggi il Reddito di cittadinanza non c’é più. Oggi vogliamo fare un’approfondimento su come sta funzionando il Centro per l’impiego di Caserta in relazione agli obblighi che ha assunto, parimenti a tutti i Centri per l’impiego italiani, quale elemento centrale, quale fulcro dell’intera procedura per l’assegnazione del Reddito di cittadinanza e per il controllo sul rispetto, da parte dei percettori, dei requisiti e dei vincoli previsti dal Decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019, convertito con modificazioni dalla Legge n. 26 del 28 marzo 2019.
Per fare questo, dobbiamo riassumervi, brevemente, quali siano questi compiti da svolgere in nome e per conto dello Stato, quale ente espressione delle Regioni. Tra le tante cose di cui i Centri per l’impiego devono occuparsi, a partire dalla fondamentale redazione del cosiddetto Patto per l’impiego, di cui è componente essenziale la formale disponibilità ad accettare un’offerta di lavoro da parte dell’aspirante al sussidio, ci sono anche tutte le azioni di controllo della procedura relativa al contatto tra percettore del Reddito di cittadinanza e potenziale datore di lavoro il quale, registrando ufficialmente la sua posizione e le richieste di determinati profili professionali, funzionali alla propria attività, diventa un punto di riferimento istituzionale per il Centro per l’impiego. Dunque, è proprio su questo ente che pesa la responsabilità totale di attuare il contenuto dell’articolo 4 comma 8 del decreto legge 4 convertito poi dal Parlamento prima dei 60 giorni che avrebbero segnato la sua scadenza e la sua decadenza.
L’art. 4 comma 8 fissa un numero massimo di rifiuti, che più leggiadramente potremmo definire mancata accettazione, da parte del percettore del Reddito di cittadinanza di offerte di lavoro congrue. In pratica, se ne rifiuta tre, perde il beneficio dell’assegno che, almeno sulla carta, con la solita ipocrisia italiana, è stato giustificato unicamente quale strumento finalizzato a trasferire e collocare la persona disoccupata nel mondo del lavoro anche attraverso fasi obbligatorie di formazione professionale. La legge stabilisce anche che in caso di rinnovo del beneficio di sussidio, il Reddito di cittadinanza si perderà dopo il primo rifiuto. Il caso più ricorrente è proprio quello del potenziale datore di lavoro, dell’impresa che accreditatasi presso il Centro per l’impiego dell’area territoriale dove opera, viene chiamata in causa in modo da poter verificare attraverso un colloquio, la possibile assunzione di un percettore di Rdc che al collocamento è iscritto con una targa ben definita che lo rende totalmente adattabile alla domanda di lavoro formulata dall’impresa. Più raro, ma qualche volta accade, che l’offerta di lavoro congrua venga formulata direttamente dal Centro dell’impiego. Ciò a dimostrazione che nella dinamica di questa procedura specifica della domanda e dell’offerta, gli Uffici provinciali del lavoro svolgono una funzione decisiva, esercitando piena potestà. Descritta sinteticamente la cornice normativa, veniamo alle solite, dolenti note …. Appurato cheil Reddito di cittadinanza non c’é più, e potrei anche dire per fortuna, anche se non sono d’accordo con l’eliminazione di un ammortizzatore sociale utile, c’era bisogno solo di controlli mirati, in un’economia ed in un mercato dove non si investe più sul lavoro, mentre si spinge molto su un assistenzialismo, spesse volte finto, ma apparentemente di supporto ai disagiati. Arriviamo ad oggi dove un inoccupato per poter ritornare nel mondo del lavoro e ritenersi utile all’impiego, viene invitato (obbligato) a seguire un corso di aggiornamento professionale per potersi riqualificare e riposizionarsi nel lavoro! La simpatica constatazione pervenutaci in redazione è che, ad un contabile esonerato dal lavoro viene proposto un corso di digital marketing manager, oppure ad un Dottore un corso professionale per la qualifica di OSS. La prima riflessione spontanea è quella di non riuscire a capire come si possa ritornare a fare il contabile o il medico dirottando altrove le competenze ed esperienze acquisite, che sebbene richieste nel settore di riferimento si preferisce formare ad altro. Se il punto di domanda più forte ed importante fosse solo questo probabilmente avremmo in parte già risolto il problema. Adesso approfondiamoci sul protocollo di reinserimento. Sono inoccupato, non lavoro, non guadagno, non spendo, non posso mangiare e pagare le bollette. Ma per poter ritornare a lavorare, si deve obbligatoriamente seguire un corso di almeno tre mesi per acquisire competenze e mansioni minori rispetto alla qualifica professionale acquisita in precedenza, in più a fronte di questo corso (imposto) si dice possa venir riconosciuta una diaria, pari all’incirca ad un euro ad ora, ergo mediamente 300, 350 euro a fine corso (totale), nel frattempo dunque l’inoccupato per tre mesi non lavora e a fine corso non gli è nemmeno garantito un approccio con colloqui o al reinserimento al lavoro. Ora ci chiediamo FORTEMENTE: se per lavorare si DEVE seguire un Corso, ma nel frattempo l’inoccupato non mangia, poi a fine Corso non Lavora, i soldi riconosciuti per aver frequentato il corso non gli bastano nemmeno a pagare le bollette domestiche della prima settimana del mese. A monte di tutto questo discorso bisogna informare il lettore, che vi è l’attivazione di uno SPID (che comporta un costo), pagare benzina per raggiugere l’istituto formativo, se connesso da casa l’inoccupato non ne ha la possibilità deve dotarsi di un Personal Computer o cellulare ed attivare un abbonamento wi.fi. Qualcuno ci spieghi perché la colpa era del Reddito di Cittadinanza e non della mancanza di lavoro, di mancanza di politiche orientate alla promozione del lavoro, della assente creazione di economia e mercati del non adeguamento del salario al costo della vita, della non semplificazione della burocrazia, ecc. ecc. ecc.?
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