Guerriero: «Gomorra? Una fiction diseducativa»

Gomorra è ormai un fenomeno mediatico senza confini. In Italia è un successo nel quale non mancano le polemiche di chi ritiene che il messaggio mediatico della fiction sia poco educativo ed anzi pericoloso per le nuove generazioni. Guerriero :”La tv è ancora un modello educativo, e la serie non rappresenta la realtà. Pizzo, sparatorie,…

Gomorra è ormai un fenomeno mediatico senza confini. In Italia è un successo nel quale non mancano le polemiche di chi ritiene che il messaggio mediatico della fiction sia poco educativo ed anzi pericoloso per le nuove generazioni.

Guerriero :”La tv è ancora un modello educativo, e la serie non rappresenta la realtà. Pizzo, sparatorie, bella vita, morti ammazzati senza alcuna giustizia. La prima serie poteva ancora essere classificata come ‘grido d’aiuto’ma seconda e terza mi sembrano solo un modo di lucrare buttando spazzatura sulla città di Napoli. A Napoli, qui al sud c’è gente che combatte la camorra, gente che fa cultura, la nostra città è ricca di saperi, ma se uno vede Gomorra sembra che in questa metropoli siano tutti armati, e che ci siano morti ammazzati ogni giorno“. Secondo il presidente di Caserta Kest’è (e non è il solo) Gomorra ha creato un corto circuito: trae ispirazione da fatti di cronaca e al tempo stesso genera spirito d’emulazione creando nuovi filoni criminali. “Credo che i fatti di cronaca aumentino, quelli legati alla violenza criminale giovanile delle cosiddette baby gang, traggano ispirazione da quei modelli lì. I ragazzi in molti quartieri o rioni non hanno un campo di pallone, i genitori sono cresciuti a loro volta in contesti difficili, probabilmente alle prese col precariato e con sempre meno tempo da dedicare ai figli, la scuola che non fa educazione civica, le chiese che non sono più un riferimento: può capitare che alcuni ragazzini attingano dalla tv“.
Gomorra intanto, sta anche scatenando nuove forme di turismo, di chi persino dall’estero sino alla lontana America, programma i suoi viaggi inserendo anche di visitare o soggiornare nei luoghi della saga.

L’hanno soprannominato “effetto Gomorra” ed è quello che ha fatto salire le quotazioni di un albergo a Napoli dove sono state girate alcune scene della serie tv creata da Roberto Saviano.

E’ il caso dell’hotel Mignon che si trova in Piazza Garibaldi a Napoli, dove il personaggio di Ciro Di Marzio si nascose dopo essere tornato dalla Bulgaria.

Dopo che la camera è apparsa nella serie tv di Sky Atlantic, l’hotel ha ricevuto moltissime richieste. Sono tante le persone che sognano di soggiornare nella “stanza di Ciro” e sono disposte anche a pagare un prezzo più alto del normale.

Il New York Times, addirittura, ne ha consigliato la visione di Gomorra al presidente Trump ritenendo che la serie, tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano e prodotta da Sky insieme a Cattleya e Fandango, può aggiungersi alle serie preferite dal presidente americano, già dichiaratamente amante di saghe come Il Padrino di Coppola e Quei bravi ragazzi di Scorsese. “Un’opera semplicemente drammatica ed emozionante”, così la definisce il NYT.

Gomorra è diseducativa per i bambini parola di Assunta Maresca, conosciuta semplicemente con l’appellativo di «Pupetta», o ancora meglio (o peggio) come «lady camorra» per il suo passato prima da moglie di un boss, poi da killer per vendicare l’uccisione di suo marito, ma divenuta anche attrice e cantante per la sua bellezza e la sua voce. Un mix di contraddizioni, raccontate a «Reality Car», una trasmissione web condotta da Emilio D’Averio, firmata alla regia da Gaetano Cuomo e prodotta da Ciro Serrapica.

Pettinatura sempre impeccabile, mise elegante, italiano perfetto, durante il programma online Pupetta Maresca ha risposto a tante domande e il suo video è subito diventato virale sui social. Giovanissima miss stabiese, negli anni ‘50 la sua bellezza conquistò il boss emergente Pasquale Simonetti, alias «Pascalone ‘e Nola». Il loro matrimonio – celebrato il 27 aprile 1955 – durò quattro mesi, perché Simonetti fu ucciso in un agguato a Ferragosto. Il giorno dopo, armata, la giovanissima vedova – incinta al sesto mese – andò a cercare il mandante di quell’omicidio, il loro testimone di nozze Antonio Esposito detto «Totonno ‘e Pomigliano», e lo uccise. Una vendetta che le costò l’arresto e la condanna a 13 anni di carcere per omicidio, con l’attenuante per la provocazione.

Dopo una decina d’anni fu graziata e scarcerata, ma nel frattempo aveva partorito in cella il figlio Pasqualino, poi ucciso negli anni ‘70. Proprio nel 1970 ebbe una relazione con il narcotrafficante della camorra Umberto Ammaturo, dal quale ha avuto due gemelli. Nel frattempo, era il 1967, Pupetta era stata la protagonista del film «Delitto a Posillipo», durante il quale recitava e cantava «’O bbene mio», una canzone scritta da lei.

Dopo anni da commerciante di abbigliamento, ora ha chiuso i negozi a Napoli e a Castellammare, è in pensione e vive nella sua città d’origine, in un appartamento del centro. La sua vicenda ha ispirato libri e film, ma anche la mini-fiction «Pupetta – Il coraggio e la passione» del 2013, nella quale il suo ruolo è interpretato da Manuela Arcuri. «Adesso sono pronte altre quattro puntate che presto andranno in onda – spiega lei – ma ho rifiutato la proposta di Sky, dopo aver visto Gomorra. Ho visto scene orribili, che purtroppo hanno visto anche tanti bambini. Per loro non è affatto educativa quella fiction, eppure per Carnevale ho visto tanti bambini travestiti da quei personaggi. Però so bene che la serie è andata avanti e ne stanno già preparando un’altra». Insomma Pupetta, che ben conosce il mondo dello spettacolo, le fiction e la camorra (è anche la sorella di Ciro «lampetiello», altro bandito molto noto alle cronache di quegli anni), condanna la serie italiana di maggiore successo nel mondo perché «troppo violenta». Poi fa un passo indietro, scava nei ricordi e – stimolata dalle domande del conduttore – spiega la sua versione dei fatti sulla vicenda che l’ha vista protagonista da giovane vedova di camorra. «Io ho fatto un errore nella mia vita: quello di aver ucciso un uomo. Ma se non l’avessi fatto non sarei qui.  Cosa avrei dovuto fare? Mi sono difesa, né più né meno. Potevo morire anch’io, ma sparai sei volte con una pistola calibro 7,65 che portavo nella mia borsetta piccola».

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