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I centri sociali chi li finanzia?

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Attorno all’idea dei centri sociali girano spesso delle polemiche per le attività che si svolgono in queste strutture, per le persone che li frequentano, per i concetti di controcultura o di controsistema che molte volte emergono da quegli immobili prima abbandonati e poi occupati (o bisognerebbe scrivere «okkupati»?) da un gruppo più o meno folto di giovani desiderosi di autogestire i propri spazi e le proprie attività.

In una sola parola, la propria vita. Ma chi finanzia i centri sociali? Come fanno a mantenersi quei ragazzi all’interno di un edificio non proprio tirato a nuovo e come fanno a mantenere gli eventi ed i servizi proposti a chi frequenta le strutture? Chi paga la luce, il gas, l’acqua?

Chi garantisce i pagamenti ai fornitori di cibo e bibite o agli artisti che si esibiscono ad un prezzo ragionevole? Forse la risposta non ti piacerà, ma il costo sostenuto per tenere in piedi un centro sociale è, direttamente ed indirettamente, a carico del contribuente.

Anche di chi non sopporta o non frequenta i centri sociali.

Il cittadino, anche se non lo sa, finanzia i centri sociali in diversi modi. Pagando le tasse allo Stato, pagando i tributi comunali e, se frequenta quei locali, pagando le consumazioni, i corsi o le attività organizzate dai gestori. I quali, però, si ritrovano spesso a non sborsare un euro al Fisco, al Comune o alla Siae. Ma nemmeno ai fornitori di energia elettrica o del gas.

Naturalmente non si può fare di ogni erba un fascio: ci sono dei circoli pubblici o privati che si possono considerare centri sociali in quanto luoghi di aggregazione e che rispettano fino all’ultimo centesimo i loro doveri, anche se non mancano gli aiuti di enti o istituzioni e dei privati cittadini attraverso, ad esempio, il 5 per mille donato alle associazioni che gestiscono questi spazi.

Ecco, allora, chi finanzia i centri sociali e come lo fa, qualche volta a sua insaputa.

Centri sociali: come li finanzia il Comune?

Chi ha a che fare ogni giorno non già con un complicato bilancio societario ma con quello più umile della propria famiglia sa che ci sono due modi per far avere dei soldi: uno è guadagnarli e l’altro è non spenderli. Ai centri sociali succedono molto spesso entrambe le cose.

Uno dei modi per finanziarsi non spendendo è quello di risparmiare sulle utenze. Accade quando il Comune dà in gestione uno spazio occupato di sua proprietà in modo da renderlo utile alla collettività (almeno nelle intenzioni). Così, l’amministrazione locale si ritrova a pagare le bollette dell’acqua, della luce e del gas senza che i gestori dei locali spendano un euro.

Altre volte, il Municipio finanzia i centri sociali attraverso dei contributi del fondo sociale regionale amministrato proprio dai Comuni oppure tramite i contributi urbanizzativi secondari. Non per forza consegnando questi aiuti al centro ma anche ad un’associazione che sostiene quel determinato centro sociale. Considera che i contributi urbanizzativi sono destinati alla realizzazione di scuole, asili, chiese, centri civici, parchi, impianti sportivi o parcheggi pubblici. Ecco, anche da qui si attinge per finanziare i centri sociali.

Non è finita: spesso chi gestisce un centro sociale non deve pagare i tributi al Comune. Quindi, niente Imu, Tari, Tasi e via dicendo. Un po’ perché il proprietario è l’ente locale e non chi ha occupato l’immobile, un po’ perché si arriva a questo accordo in modo più o meno tacito.

C’è, infine, il sostegno per svolgere determinate attività, cioè delle licenze e delle autorizzazioni per lo spaccio di generi alimentari, di bevande alcoliche o non alcoliche, per la concessione gratuita o quasi di spazi pubblici, ecc.

Centri sociali: come li finanzia lo Stato?

Anche lo Stato, direttamente o indirettamente, finanzia i centri sociali. Considerando ciò che abbiamo detto prima, cioè che si fanno i soldi anche non spendendoli, chi gestisce questi spazi trova l’agevolazione che il contribuente non ha nel non pagare le tasse sui soldi che incassa. Nel senso che molto spesso quando si chiede una consumazione, che si tratti di una birra o di un piatto di pasta, non viene rilasciato lo scontrino fiscale. C’è chi giura, ad esempio, di non avere visto l’ombra di una ricevuta al ristorante del mitico Leoncavallo, uno dei centri sociali per eccellenza di Milano. E pare che questo vizietto sia abbastanza diffuso.

Come lo è anche quello di non pagare la Siae, cioè la società che gestisce gli interessi degli autori e degli editori, quando vengono organizzati dei concerti o degli eventi musicali (quindi anche di ballo) all’interno dei centri sociali, a volte anche con la «complicità» degli artisti che si esibiscono (alcuni anche piuttosto noti al grande pubblico) che, evidentemente, chiudono un occhio e via. Versare il contributo alla Siae è obbligatorio anche quando in un locale aperto al pubblico si mette un televisore per dare l’opportunità agli avventori di vedere una partita di campionato o di Champions League. Anche qui, chi entra paga (e già che c’è consuma) ma la Siae, di solito, non vede un soldo.

Centri sociali: come li finanzia direttamente il cittadino

Quello che abbiamo appena visto, dunque, spiega chi finanzia i centri sociali con i soldi pubblici, tra lo Stato che non recupera le tasse non pagate, i Comuni che concedono licenze e contributi e pagano bollette o tributi al posto dei gestori ed i cittadini che, invece, le tasse le pagano anche per loro. Ci sono, poi, dei soldi che i privati fanno arrivare ai centri sociali attraverso il 5 per mille della dichiarazione dei redditi. Denaro che magari non arriva direttamente alla struttura ma che finisce nelle casse di un’associazione che la sostiene.

Ovviamente, ci sono poi i soldi che restano nei centri sociali grazie ai servizi ed alle attività offerti: bar, ristoro, corsi, manifestazioni, eventi, serate danzanti, concerti e via dicendo. Denaro contante per un biglietto o per una consumazione da cui, come abbiamo visto, ci sarà ben poco da scontare.

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