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Il suicidio di una persona, specialmente di una ragazzina, è sempre una tragedia che ci interpella

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CASERTA – Qualcuno non aveva accettato quella che è, per gli spiriti solo sufficientemente illuminati, un fatto normale, ossia la scoperta di una propria identità divergente dal genere biologico.

Ci vuole una certa dose di coraggio per dire ai propri genitori, nonni, parenti a chiare lettere “sono gay”, “sono lesbica” o ancora “non mi sento di appartenere al mio genere biologico”. Ma non è obbligatorio. Nessuna persona eterosessuale pensa sia necessario dire al mondo che è etero perché è considerato lo standard oppure, più semplicemente, in quest’epoca e in questa latitudine è l’ideologia dominante: si da per scontato che chiunque ci circondi sia eterosessuale a meno che non esprima, con gesti, abitudini o parole, il contrario.

Per questo motivo molte delle battute più diffuse sono a sfondo omofobico come, per esempio, “quella è una cosa da gay”. Si tratta di microaggressioni che nascono proprio dall’eteronormatività e rendono difficile e doloroso a molte persone dichiarare la propria identità di genere o il proprio orientamento sessuale alla cerchia familiare o amicale.

Quando si tratta di figli omosessuali che vogliono fare coming out con i genitori la pressione psicologica è ancora più alta. Accade perché le famiglie hanno delle lecite aspettative che, dichiarandosi diverse da quello che loro immaginano, le persone Lgbt+ temono di deludere. Ci sono storie di coming out violente, altre molto belle e alcune invece tristi come questa di REBECCA Marziani, una condizione conosciuta e vissuta con la massima naturalezza dai compagni di scuola e su cui le autorità scolastiche sarebbero state costrette a intervenire dopo essere venuti a conoscenza delle costrizioni inflitte alla ragazza, alla quale sarebbe stato tolto anche il cellulare con forte ridimensionamento della sua possibilità di socializzazione al di fuori dell’orario di lezione.

Intanto, proseguono le indagini della Procura della Repubblica di S.Maria C.V. sul suicidio  ( ha deciso di morire gettandosi da un balcone della sua abitazione in zona via Laviano).

L’ultimo gesto che seguiva altri tentativi dello stesso tipo, uno dei quali, qualche mese or sono, quando un militare dell’Esercito riuscì a spostarla all’ultimo momento dai binari ferroviari di via Unità d’Italia.

Le nostre considerazioni

Senza lasciare spazi a equivoci: l’omosessualità non è una malattia e le organizzazioni per la tutela della salute mentale su questo sono tutte d’accordo. Fu classificata come malattia diversi decenni fa ma la comunità scientifica ha ufficialmente rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nel 1973.

Dichiararsi gay, lesbica o bisessuale, etc. significa dichiarare il proprio “orientamento sessuale”: un modello di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale verso gli uomini, le donne o entrambi i sessi. Qui va fatta una precisazione per distinguere l’orientamento sessuale dall’identità di genere. Con questo concetto si intende la percezione che si ha di sè stessi come uomini o donne: tutte e tutti quindi, abbiamo una precisa identità di genere.

Una persona omosessuale non è attratta soltanto sessualmente ma anche emotivamente e romanticamente verso una persona del suo stesso sesso. Definirsi gay non significa necessariamente praticare sesso con un altro uomo, pensiamo alle persone gay che per un motivo o per un altro fanno voto di castità. Non smettono di essere gay, come le persone etero che fanno tali voti non smettono di essere eterosessuali.

I vecchi pregiudizi sul perché alcune persone siano attratte da persone del loro stesso sesso cadono uno a uno davanti le evidenze scientifiche, sopratutto le narrazioni secondo cui l’orientamento sessuale sia legato a dinamiche familiari disturbate o a uno sviluppo psicologico deviato.

  
     
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