di Gianclaudio de Zottis
Carlo Mazzone, il romantico Sor Magara di un pianeta del pallone lontano anni luce dall’attuale, tutto soldi e inganni, ha chiuso la sua partita. Nato all’ombra del Colosseo 86 anni fa, da Eternauta del calcio ha finito per essere adottato da Ascoli Piceno, la città dove abitava, dove gli hanno intitolato, da vivo, la tribuna dello stadio e dove ha chiuso con la vita. Per raccontare Mazzone senza cadere nella retorica non si sa da che parte cominciare, lui così colorato e colorito, fuori dalle righe e non sempre al limiti di quelle del campo. Fermandosi agli almanacchi si deve sottolineare il record di panchine in serie A: 797 suddivise nelle undici squadre allenate nel corso di una quarantennale e picaresca carriera. Non solo: comprendendo serie minori e coppe varie, Mazzone ha allenato in 1.278 occasioni. In questa bulimia della panchina, nessuno è stato al suo livello.
Dopo Ascoli, la storia e la gloria calcistica di questo genio provinciale della panchina che ha chiuso senza trofei importanti ma con un immenso bagaglio di vittorie personali, lo hanno visto a Catanzaro e a Firenze (dove venne indagato e poi prescritto in seguito alla scomparsa misteriosa di Bruno Beatrice, un suo giocatore stroncato dalla leucemia), quindi a Bologna (in tre puntate) e a Lecce, a Pescara e a Cagliari, prima di approdare a Roma dove realizzò uno storico miracolo: intuito il talento enorme di un 16enne biondo delle giovanili, lo gettò nella mischia della serie A, a Brescia. Quel giorno nacque la leggenda di Francesco Totti che lo ha definito «Padre, mister e maestro».
Di impronta tattica italianista, ma non scevro ai cambiamenti quando squadernava moduli ora a uomo e ora a zona, Sor Magara ha poi allenato fior di campioni e inventato magie. Ad esempio quella di arretrare, nel Brescia, il trequartista Pirlo per trasformarlo in un regista pazzesco che ha portato Milan e Italia in cima al mondo.
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