CASERTA – Oggi, una studentessa di 14 anni è stata sorpresa a utilizzare un tablet durante un compito in classe, presumibilmente per cercare informazioni sull’argomento. Il professore, notando l’infrazione, l’ha redarguita sul momento. Questo episodio, sebbene possa sembrare ordinario, ha avuto un impatto emotivo significativo sulla ragazza, che ha chiesto il permesso di uscire per andare in bagno.
La pressione scolastica, unita all’uso diffuso della tecnologia in classe, solleva interrogativi sull’equilibrio tra disciplina e supporto emotivo per gli studenti. Mentre l’uso di dispositivi come tablet e smartphone può facilitare l’apprendimento, può anche diventare una fonte di distrazione e, in alcuni casi, di stress. È essenziale che le istituzioni educative considerino non solo le regole disciplinari, ma anche il benessere psicologico degli studenti.
Questo incidente evidenzia la necessità di un dialogo aperto tra educatori, studenti e famiglie per affrontare le sfide dell’era digitale nell’istruzione. La scuola dovrebbe essere un ambiente sicuro dove gli errori diventano opportunità di crescita, non cause di traumi.
Le mancanze dell’istituto
Come più volte affermato dalla giurisprudenza, nei casi di danni auto-inflitti dagli alunni (sui quali consentitemi di richiamare l’ articolo “La vigilanza a scuola e il caso fortuito”, pubblicato nel num. 16 – Febbraio 2012 di Sinergie di Scuola), la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante ha natura contrattuale e, a fronte di ciò, l’alunno deve provare soltanto che il danno si è verificato nello svolgimento del rapporto, ossia in orario scolastico, l’amministrazione scolastica di provare, invece, che il danno è stato determinato da una causa non riconducibile né alla scuola, né all’insegnante.
Nei casi come quello trattato, la domanda che si pone il giudice, per formulare un’eventuale sentenza di condanna, è la seguente: cosa non hanno fatto il preside, il docente e, più in generale, la scuola (e che invece erano tenuti a fare) per evitare che l’alunna si suicidasse? Quali sono i mezzi organizzativi predisposti dalla scuola per evitare simili accadimenti? Il personale è addestrato a riconoscere i sintomi che possono portare un minorenne a togliersi la vita?
La responsabilità dell’insegnante che non ha tenuto un comportamento vigile è una responsabilità per omissione, che intanto può essere ad esso ascritta laddove non abbia adottato le cautele minime richieste dal buon senso e dai propri doveri professionali. Abbandonare la classe senza farsi sostituire da un collega o da un collaboratore scolastico, per tutto il periodo dell’assenza, è sicuramente un comportamento imprudente, ma anche sottovalutare eventuali spie del disagio dello studente il quale arrivasse a compiere il gesto estremo, potrebbe configurare una responsabilità omissiva del docente.
Si pensi, in proposito, ad un tema assegnato agli studenti dal quale emergesse uno stato evidente di emarginazione di uno di essi, conseguente ad una situazione familiare problematica o a fenomeni di bullismo non adeguatamente contrastati dall’istituzione scolastica: il non avere affrontato la situazione coinvolgendo la famiglia ed, eventualmente, i servizi sociali, potrebbero essere preso in considerazione dal giudice per verificare se la dirigenza scolastica e i docenti abbiano fatto quanto in loro potere per evitare l’evento dannoso auto procuratosi dall’allievo.
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