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Ogni anno dopo le fiamme si annunciano provvedimenti. Ma tutto torna come prima.

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CAMPANIA – Il business dei roghi dolosi nelle zone boschive esiste da decenni. Edilizia speculativa, i fondi per il rimboschimento e le opere forestali.

A Caserta per il rogo di sterpaglie e rifiuti che interessa il centro abitato, in particolare il complesso di case popolari di via Falcone, situato a poche decine di metri dalla caserma sede del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco.

I vigili del fuoco non sono potuti intervenire immediatamente, perché avevano tutte le squadre impegnate in altri interventi in provincia, come a Castel Morrone, dove persiste da giorni un ampio incendio boschivo. Le fiamme sono state spente dopo oltre due ore.

Già ieri sera una nube sprigionata dalla combustione di rifiuti speciali, soprattutto copertoni e mobili, aveva invaso le abitazioni e le fiamme erano state poi spente dai pompieri.

Altro disastro ambientale quello provocato da un vasto incendio divampato nel pomeriggio di martedì all’interno del sito di stoccaggio dei rifiuti dell’Ilside, a Bellona, in località Ferranzano.

Una coltre di fumo nero si è propagata per chilometri, raggiungendo anche le aree di Aversa e di Caserta, rendendo l’aria irrespirabile. Per tutta la giornata i vigili del fuoco hanno lavorato per domare le fiamme.

Quello di Bellona è stato solo uno dei tanti incendi verificatisi in Campania. Circa 100 i roghi che hanno visto impegnate quasi 600 persone. In azione decine di carabinieri forestali, vigili del fuoco, protezione civile e personale dell’antincendio boschivo della Sma Campania che stanno operando anche con l’ausilio di canadair.

San Leucio anche in fiamme. Ieri sono proseguite le operazioni di spegnimento del rogo divampato sabato pomeriggio, che ha continuato a bruciare il promontorio dei Colli Tifatini che sormonta il Belvedere. Con l’escalation di incendi, inoltre, in città ritorna l’incubo delle polveri sottili, con tre sforamenti delle Pm10 registrati dalla centralina di corso Giannone in appena dieci giorni. Il superamento dei valori si è verificato in concomitanza degli incendi di Casertavecchia e della collina di San Michele.

Da domenica notte vanno in fumo ettari di vegetazione nell’area del Vesuvio . Alcune abitazioni, tra i comuni di Torre del Greco ed Ercolano, sono state sgombrate precauzionalmente. E ieri si sono uniti i due incendi tra Ercolano e Ottaviano, creando una scia di due chilometri di fuoco. Anche nel territorio di Trecase è stata ordinata l’evacuazione di residenti che abitano nei pressi del luogo interessato dai roghi.

Ogni anno dopo le fiamme si annunciano provvedimenti. Ma tutto torna come prima.

No, non sono incendi ‘naturali’. Il fuoco nei boschi non attecchisce tanto facilmente.  Quando può, la natura si e ci protegge. Ci vuole caldo, tanto caldo, per innescare quella reazione a catena capace di determinare un rogo naturale.

No, quelli sul Vesuvio non sono incendi dovuti al caldo. Sono roghi dolosi. Qualcuno ha scelto le zone, ha preparato gli inneschi e ha deciso la linea, il percorso, il fronte delle fiamme in più punti, in modo da mandare in tilt il carente sistema di prevenzione degli incendi in Campania.

Un tempo i professionisti delle fiamme, quelli che erroneamente  chiamiamo piromani facendo passare per ossessione psichiatrica un volontario e lucido intento di distruggere, nato da interessi economici, usavano i gatti. Un gatto cosparso di benzina, incendiato che corre su un percorso di foglie secche innaffiato con liquido altamente infiammabile. Oggi le cose sono diverse. Oggi si usano inneschi chimici lenti, che piano piano sviluppano il loro potenziale ed esplodono uno dopo l’altro, come un percorso della morte.

Perché? Già, perché deliberatamente decidere d’uccidere un bosco, un’area verde, la natura? Nell’ultimo caso, quello degli incendi sul Vesuvio, sarà la Procura di Torre Annunziata, che indaga per incendio doloso contro – ovviamente – ignoti -a dover individuare le responsabilità. Sono stati già individuati 8 inneschi. I vigili del fuoco non hanno ancora relazionato agli investigatori ma dalla città vesuviana annunciano indagini con l’ausilio d’immagini satellitari e del solito drone che riprenderà dall’alto i focolai ancora vivi.

C’è bisogno? C’è bisogno per sapere che questi roghi sono frutto d’una strategia? Correva l’anno 2001, ovvero 16 anni fa, e l’allora Sisde, oggi Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, ovvero i servizi segreti italiani, sosteneva – era il caso della Sicilia – responsabilità degli stagionali, operai precari forestali, assunti per il rimboschimento e l’anti-incendio, in molti, troppi roghi dolosi. È così anche in Campania? Senza  buttar la croce addosso a nessuno è così difficile rendersi conto che, in assenza di una tradizione agropastorale che considera il fuoco un mezzo per procurarsi nuovo pascolo, sul Vesuvio il rischio dell’edilizia abusiva, degli scarichi illegali di rifiuti nel Parco Nazionale già violentato per anni da sversamenti d’ogni tipo è altissimo?

Il 2017 si annuncia come l’ennesimo annus horribilis per il Parco del Vesuvio. Ma il 2016 non fu da meno: furono individuati cinque ‘piromani’ responsabili di devastazioni a mezzo fuoco. Ma dopo l’indignazione durata 48 ore tutto restò come prima. Soldi stanziati , annuncio di monitoraggi, telecamere, gli onnipresenti (ma solo nella bocca dei politici che annunciano provvedimenti) droni. E per un anno ci si è scordati del problema. Ovviamente fino a oggi

 

 

 

 

 

 

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