Chiusura del Kestè di Napoli, il titolare si sente in pericolo

  Fabrizio Caliendo, titolare del Kestè nel centro storico di Napoli, ha denunciato in più occasioni il degrado che regna sovrano nella zona che va da Mezzocannone sino a piazza del Gesù, divenendo anche un testimone di giustizia, dopo aver denunciato i propri estorsori. L’ennessima rissa tra spacciatori, però, lo ha gettato nello sconforto, tanto da fargli…

 

Fabrizio Caliendo, titolare del Kestè nel centro storico di Napoli, ha denunciato in più occasioni il degrado che regna sovrano nella zona che va da Mezzocannone sino a piazza del Gesù, divenendo anche un testimone di giustizia, dopo aver denunciato i propri estorsori.

L’ennessima rissa tra spacciatori, però, lo ha gettato nello sconforto, tanto da fargli annunciare la volontà di chiudere lo storico locale della movida del centro storico.

-Fabrizio, ci spieghi cosa è successo e cosa ti ha spinto a dichiarare di voler chiudere il Kestè?
“Sono un testimone di giustizia. Ho denunciato e fatto arrestare I miei estorsori. Ho trasformato una piazza e lanciato un polo notturno. Sono un attivista civico storico. Ma tutto questo non sembra avere nel concreto nessun valore. La notte sta morendo, è una denuncia che faccio come presidente dell’associazione dei locali napoletani. Camorra, spaccio, concorrenza sleale, svendita di alcool. Non ci sono più eventi culturali, concerti, arte. La notte è diventata terribile, il costume è quello che vediamo, non occorre il mio racconto.

Poi posta su facebook : ”Senza serenità, non c’è lavoro. Senza dignità, non c’è lavoro. Senza un reale sostegno non c’è futuro. Chiudere è stato difficile, denunciare quello che succede ancora di più. Ci sono vite in ballo. E la gente gioca a fare gossip, senza rendersi conto di quanto stia accadendo. Si, il 28 febbraio ci sarà una manifestazione che chiede dignità, rispetto, futuro. E io sono stanco di lottare, invece di lavorare semplicemente. Questa mancanza di tutela da parte delle istituzioni ci lascia esposti, crea disagio e incertezza. E uno dovrebbe garantire lavoro, continuità, certezze quando per primi noi non abbiamo garanzie. Quale miracolo si chiede a chi da lavoro oggi? Mi trovo esposto su mille fronti e cerco soluzioni tangibili per andare avanti. Ma voi ci pensate o no a cosa significa fare “impresa” oggi in queste condizioni? Non è un gioco, il mio nome e la mia faccia sono sulle pagine della cronaca cittadina, denunciando quanto tutti sanno, ma nessuno ha il coraggio di dire. Perché in fin dei conti “lo hai voluto tu, chi te lo ha fatto fare di denunciare, alla fine il locale andava bene”. Ecco, é uma impresa non da poco chiedere agli altri di mettersi nei miei di panni, e capire quando dico “io non ce la faccio più in questo modo”. Ma ognuno pensa al proprio piccolo orticello, mentre io sto cercando di sollevare una serie di problemi che ricadono sulle vite quotidiane di tante persone, tanti imprenditori, cittadini e lavoratori. Non c’è normalità, non c’è legalità, si naviga “a vista”. Il Kesté è un luogo simbolo, da 20 anni è lì che resiste sotto le bordate di criminalità e istituzioni incapaci. La camorra avanza, le persone per bene arretrano. Il circo è ogni giorno. Nella finzione che tutto vada bene, basta che la gente paghi il biglietto. Il circo del centro antico è in crisi. Il Kesté e io siamo in crisi. E c’è bisogno di calare il sipario su questo spettacolo indegno e ingiusto e scrivere una storia differente. Che restituisca dignità a tutti, oggi io lo pretendo. Il circo non lo faccio più. Io voglio fare sana impresa, musica, arte. Lavorare con progetti e gente seria che sia consapevole di quello che accade. Avere serenità, anche io. Garanzie. Sostegno per quello che ho realizzato in tanti anni. Cose semplici. Ma nulla è semplice oggi. Dunque io ho chiesto aiuto e chiedo aiuto, in maniera semplice”. 

 

 

 

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