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Nuova tassa diesel: le bugie degli ambientalisti

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Tutti ormai sanno che lo Stato ha intrapreso una battaglia nel nome della green economy. Una battaglia realizzata non attraverso incentivi in favore di chi inquina meno, ma a suon di tasse nei confronti di chi inquina di più. Peccato, però, che le informazioni su cui si basano le argomentazioni governative siano spesso errate e, nel migliore dei casi, frutto di pregiudizi o di ignoranza. Ma siccome a pensare male, se anche si fa peccato, spesso ci si azzecca, il sospetto che la nuova svolta sia il frutto delle pressioni delle ennesime lobby non ci lascia pace. Un esempio su tutto è dato dal nuovo regime di tassazione del diesel. Come noto, l’ex forestale Costa, divenuto ministro con il Governo Conte, ha disposto l’aumento delle tasse sul gasolio per colmare il vantaggio fiscale di cui ancora godono i motori diesel.

In pratica, è stata abolita la norma che, sino ad oggi, ha impedito ai prezzi del diesel di superare un certo limite. Risultato: ora, il gasolio potrà costare quanto la benzina. Non sapremo ancora quando, ma è possibile che, prima o poi, il divario tra i due tipi di carburante sarà – se non colmato – ridotto enormemente.

Tale soluzione è stata adottata perché si ritiene che il diesel inquini di più della benzina. Se questo, però, fosse stato il vero intento del Governo, come mai a nessuno è passato in mente di ridurre invece – come peraltro ampiamente promesso e non mantenuto – le accise sulla benzina per renderla più competitiva?

A ben vedere, la nuova tassa sul diesel ha una stretta correlazione con la vendita delle auto elettriche e, soprattutto, con le bugie degli ambientalisti. E a svelare la fake news è stata la Mercedes. La nota casa automobilistica tedesca ha condotto degli studi per verificare se davvero il diesel è il demonio che oggi si vorrebbe far credere.

Si potrà subito pensare che un’azienda che produce auto, da sempre peraltro orientata verso motori di tipo tradizionale, anche particolarmente “spinti”, ha tutto l’interesse a mantenere il mercato lontano dal green. Ma state a sentire bene cosa è successo e, all’esito di ciò, potrete trarre le vostre conclusioni. Conclusioni che, peraltro, sono tracciate in modo chiaro nel recente libro di Nicola Porro, dal titolo «Le tasse invisibili», edito da La Nave di Teseo.

Fino a pochi anni fa, il parco auto circolante in Italia – così come nel resto dell’Europa – era composto da macchine alimentate a benzina e gasolio. Chi poteva permettersi di spendere qualcosa in più o era costretto a fare lunghi viaggi, preferiva il diesel che, nel medio-lungo periodo, consente maggiori risparmi sul pieno.

Poi, sono arrivate le auto elettriche e qualcuno ha gridato: finalmente ci libereremo dalle lobby del petrolio. Al di là del fatto che per sbarazzarci definitivamente del greggio dovremmo rivedere tutte le nostre fonti di calore, a partire da quello domestico, le cose stanno diversamente.

Nonostante i titoloni dei media, gli sconti sul bollo auto, gli incentivi governativi (a spese dei contribuenti), il parco di auto elettriche è ancora ridicolo. Chi compra un veicolo elettrico corre il rischio di subire una fortissima svalutazione nel breve periodo: si tratta di una tecnologia ancora in fase di sviluppo che non consente di rivendere il mezzo già dopo pochi anni.

Ma non solo.

La gestione delle auto diesel, come noto, costa di meno al proprietario rispetto ad una a benzina. Ragion per cui già le stesse case automobilistiche preferiscono spingere di più sulle prime, per avere un maggior utile in termini di pezzi di ricambio e sostituzione delle stesse vetture.

La parte più eclatante della questione deve ancora venire.

Gli ultimi modelli di diesel, i cosiddetti Euro 6, inquinano di meno non solo delle auto a benzina, ma anche – badate bene – delle elettriche. Consumano cioè una quantità di CO2 di gran lunga inferiore a quella che ritengono i nostri politici.

Come dicevamo, il Centro studi CESif di Monaco di Baviera, uno dei più prestigiosi della Germania, nel 2019 ha realizzato uno studio che mette a confronto le emissioni di CO2 di una Mercedes diesel di ultima generazione come la C 220d e quelle di un’auto totalmente elettrica come la Model 3 della Tesla. Nel complesso – ossia sommando tutte le emissioni dovute all’estrazione del petrolio, alla sua trasformazione in diesel e al trasporto al distributore – la Mercedes emette 141 grammi di anidride carbonica per ogni chilometro percorso.

Considerando, invece, la produzione della batteria e la sua ricarica, le emissioni della Tesla si collocano tra i 155 e i 180 grammi.

I tecnici del mondo dell’automobile sanno bene che la produzione delle batterie delle auto elettriche rappresenta un problema difficile da risolvere con le attuali tecnologie ma, come sempre succede quando c’è da iniziare un nuovo, interessante e promettente business, il problema viene rinviato alle generazioni future. Saranno queste a decidere come risolvere il problema della produzione, gestione, ricarica e smaltimento delle batterie usate.

Ritorniamo allo studio tedesco. Secondo i tecnici, le batterie Tesla hanno un’impronta verde valutabile tra 73 e 98 grammi di CO2 per km, considerando la vita media della batteria pari a dieci anni per 15.000 km percorsi all’anno. Ovviamente, deve poi essere aggiunta la ricarica. E secondo voi con cosa si crea l’energia elettrica con cui si fa il rifornimento delle batterie? Con un mix di combustibili. Sì, i famigerati combustibili che, sino ad oggi, hanno rovinato il pianeta. Si può pensare: c’è sempre il fotovoltaico. Ma in un Paese come la Germania, per supplire ai deficit, si è pensato bene di aumentare la produzione del carbone. E ancora non siamo arrivati a parlare di nucleare.

Morale della favola: un’auto totalmente elettrica come la Tesla oggi in Germania produce tra i 14 e i 30 grammi di anidride carbonica in più rispetto a un’auto diesel.

Tutto ciò lo sanno ovviamente molto bene i produttori di auto che però si guardano bene dal manifestare e gridare troppo allo scandalo. Come detto, produrre auto benzina è più conveniente per le case: garantisce un maggior ricarico, consente di spendere meno in ricerca (i diesel, infatti, hanno anche questo handicap) e garantiscono un facile deterioramento dei pezzi di ricambio.

Insomma, siamo passati dalla padella alla brace.

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