I fratelli Giovanni e Giuseppe Garofalo, di 45 e 46 anni, sono stati condannati in via definitiva per aver imposto al titolare di un bar di Casapesenna di installare tre slot macchine riconducibili al clan del boss Michele Zagaria.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dai due contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli il 29 giugno 2017 con la quale venivano condannati per aver imposto con l’uso dell’intimidazione, l’installazione delle apparecchiature al fine di procurarsi un ingiusto profitto. I giudici hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni del gestore del bar, vittima, dei fratelli Garofalo ma anche le dichiarazioni dei 4 collaboratori di giustizia, escussi nel corso del processo, i quali hanno confermato il “pieno inserimento nel settore dei giochi e delle scommesse dei fratelli Garofalo, che agivano in stretto contatto con Michele Zagaria, gestendo due sale giochi e imponendo l’installazione nei bar dei videopoker del clan dallo stesso capeggiato”.
La vittima, è stata costretta a vendere il bar perché in seguito alla denuncia ha perso la clientela percependo anche l’ostilità del suo paese “era poi stato avvicinato dalle donne della famiglia Garofalo, le quali lo avevano invitato persino a rivolgersi ad un avvocato per valutare il modo di ridimensionare le accuse rivolte ai loro congiunti”.
Un’imposizione che i giudici della Suprema Corte, hanno inquadrato nel reato di estorsione, in quanto la vittima non era messa nelle condizioni di poter lavorare perseguendo i propri interessi al punto da chiedere a Giuseppe Garofalo di installare una propria macchinetta personale, “perché non ce la faceva più a continuare in quel modo”, dichiarano gli ermellini . La richiesta “attesta che i guadagni di Palma, dopo l’installazione delle slot macchine non erano certamente più gli stessi percepiti prima – scrivono nella sentenza – dell’intervento di Giovanni Garofalo, qualificatosi espressamente come appartenente al clan Zagaria”.
Lascia un commento