Telefoni cellulari e tumori al cervello: cosa dicono 20 anni di ricerche

L’uso del cellulare fa male o no alla salute? Ce lo chiediamo da più di vent’anni, nei quali ancora non si è riusciti ad arrivare a una conclusione sulla questione. Molti sono gli studi che hanno cercato di fare chiarezza, ma altrettante sono le conclusioni contraddittorie: per alcuni l’uso del cellulare espone il cervello a…

L’uso del cellulare fa male o no alla salute? Ce lo chiediamo da più di vent’anni, nei quali ancora non si è riusciti ad arrivare a una conclusione sulla questione. Molti sono gli studi che hanno cercato di fare chiarezza, ma altrettante sono le conclusioni contraddittorie: per alcuni l’uso del cellulare espone il cervello a pericolose onde elettromagnetiche che sul lungo periodo aumentano il rischio di ammalarsi di cancro; per altri questa relazione non sussiste. Così ancora oggi ci ritroviamo a discuterne. Una sentenza del Tar del Lazio che ha stabilito che i ministeri dell’Ambiente, della Salute, dell’Istruzione e della Ricerca dovranno provvedere ad adottare una campagna informativa per informare la popolazione sui rischi degli apparecchi di telefonia mobile (cellulari e cordless), non fa altro che far ritornare alla ribalta una questione ancora irrisolta.

Dal canto suo, la scienza non è affatto certa che i cellulari facciano avvero male alla salute. Una ricerca pubblicata nel 2011 sul British Medical Journal ha concluso che non c’è alcun legame tra uso del telefonino e tumori. Altre ricerche invece arrivano a conclusioni opposte. Neanche lo studio Interphone, la monumentale ricerca iniziata nel 2000, è riuscita a fornire certezze. Dopo 10 anni di lavoro, con ben 13 paesi coinvolti, inclusa l’Italia, la conclusione è stata: “Non c’è un legame conclusivo tra l’uso dei cellulari e i tumori al cervello”. Tuttavia,  avrebbe evidenziato un’aumento del rischio di sviluppare il glioma, un grave tumore cerebrale, tra chi aveva passato al cellulare più di mezzora al giorno negli ultimi 10 anni. L’Organizzazione mondiale della sanità, invece, ha deciso di premunirsi e ha classificato le radiofrequenze nel gruppo 2b dei “possibili cancerogeni”, lo stesso della caffeina. Buona parte della comunità scientifica concorda oggi nell’appoggiare il principio di precauzione e cioè, nel dubbio, ridurre il tempo di esposizione ai campi elettromagnetici, specialmente tra i più piccoli. Almeno in attesa di evidenze conclusive sulla questione.

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