Al Liberation Day di Trump, Meloni potrebbe rispondere con un Election Day anticipato. Mentre il tycoon statunitense scuote il mondo con minacce di dazi, in Italia si studia una mossa che unisce logica istituzionale e calcolo elettorale: accorpare le elezioni regionali dell’autunno 2025 con eventuali politiche anticipate, da svolgersi entro la primavera del 2026. Senza però toccare la legge elettorale, una riforma alla quale sia Meloni sia Schlein si dichiarano contrari.
In prima linea c’è Matteo Piantedosi. Il ministro dell’Interno, ben visto dal Quirinale, ha avanzato l’idea di votare in Veneto nella primavera del 2026. E chissà se anche altri governatori a fine mandato, come De Luca, Fontana e Fedriga, non vedano di buon occhio un supplemento di potere, utile per consolidare il loro futuro, magari come senatori o, come Zaia, per essere protagonisti alle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026. In un contesto internazionale sempre più instabile, mentre si parla di Armageddon economico, la politica italiana si smarca e si riforma in alleanze contraddittorie: a Bruxelles, Forza Italia vota insieme al Pd per difendere l’Europa di Ursula; in Italia, invece, rinasce l’improbabile alleanza Salvini-Conte in versione anti-Ue.
Salvini e Conte, né sovranisti né pacifisti, ma piuttosto opportunisti, cavalcano il malcontento popolare con argomenti “acchiappalike” e adottano una strategia di opposizione totale alla linea “responsabile” incarnata da Meloni e dal Pd. Meglio di Carlo Calenda, che continua a cercare un’identità politica – senza trovarla – da quando era bambino. A Giorgia Meloni non resta che allearsi sempre di più con Forza Italia e con Tajani, che, imitando il primo Berlusconi, sta conducendo un eccellente scouting tra i grand commis di Stato per rendere le liste elettorali più “smart”, come auspicato dalla dinastia di Arcore.
Con questo scenario, Meloni dovrà mettere da parte il sogno di rendere il suo governo il più longevo della Repubblica: per superare Berlusconi II (2001–2005), servirebbero 1.412 giorni in carica. Votando nel 2026, si fermerebbe a poco più di 1.200 giorni, guadagnando la medaglia d’argento o di bronzo. Ma, come si sa, non è dai numeri che si giudica un governo: si misura dai risultati, più che da una classifica da bar sport. Un compromesso, vista la popolarità che ancora conserva nel Paese, che Meloni potrebbe accettare, soprattutto se il suo prossimo obiettivo fosse il Quirinale del 2029, la residenza più ambita d’Europa, da cui influire su molti aspetti del Paese, restando anche più vicino alla sua famiglia dopo questi anni intensi.
Intanto, la segretaria del Pd, Elly Schlein, è ossessionata dalla preoccupazione di non avere nessuno alla sua sinistra, rischiando di trasformare il suo partito in un movimento privo di radici e struttura sul territorio, solo per competere con Conte. Un errore che potrebbe rivelarsi politicamente letale. In politica, l’Italia può somigliare alla Germania, ma il Pd non è ancora il Pse e Forza Italia non è la Cdu. Meloni e Mattarella sono perfettamente consapevoli di questo scenario in evoluzione, e i rispettivi sherpa sono già al lavoro. Proprio in queste ore, l’idea di un Election Day guadagna consensi.
I “2M” si compensano: il Presidente della Repubblica, nel ruolo di “poliziotto cattivo”, baluardo di un’Europa severa contro l’alleanza Trump-Musk; la premier, nei panni della “poliziotta buona”, cerca con determinazione un dialogo con Washington, probabilmente per recuperare terreno rispetto a Londra, Parigi e Berlino. Meloni sa che Mattarella è una risorsa preziosa: rassicura i mercati, Bruxelles e gli alleati. Mattarella, dal canto suo, sa che, nonostante le divergenze, la premier ha sempre rispettato l’architettura costituzionale, equilibrando i pesi e contrappesi. Lontani i tempi del 2018, quando Meloni e Di Maio chiedevano l’impeachment del Capo dello Stato per il veto su Paolo Savona come ministro dell’Economia.
Il paradosso è che, mentre il dibattito sul presidenzialismo si fa più vivo, il Quirinale sta acquisendo una funzione sempre più centrale: non governa, ma influenza; non dirige, ma orienta. In una politica italiana priva di visione, il Presidente della Repubblica resta l’unico vero punto fermo. Tornando alle elezioni, sono sei le regioni al voto nel 2025: Campania, Veneto, Toscana, Puglia, Marche e Valle d’Aosta. Regioni cruciali. Cinque di queste sono attualmente governate dal centrosinistra o da esponenti civici fortemente radicati sul territorio. La strategia di Meloni sarebbe quella di posticipare di qualche mese le elezioni regionali, per accorparle con un eventuale scioglimento anticipato delle Camere. Questa mossa permetterebbe alla premier di giocare d’anticipo, evitando che il calo di consenso – con FdI per la prima volta sotto il 29% nei sondaggi – si faccia sentire troppo presto.
In tutto questo, persiste un’altra ombra: la grave lentezza nei lavori del Pnrr. Il governo italiano non vorrebbe chiedere a Bruxelles un’estensione dei tempi per attuare i progetti. Tuttavia, se l’estensione fosse concessa, o se il governo riuscisse a destinare le risorse non spese a fondi, come già fatto dalla Spagna, il rischio legato al Pnrr potrebbe essere ridotto. Inoltre, se i vincoli europei di bilancio venissero allentati, grazie anche alla tempesta economica in arrivo da Trump, l’Italia potrebbe affrontare il futuro con maggiore serenità.
La Grecia insegna: quando un Paese entra in un clima pre-elettorale, le speculazioni si fermano in attesa di nuovi equilibri. Per Meloni, alle prese con provvedimenti bloccati, ministri sempre più imbarazzanti e una magistratura in assetto di guerra, un Election Day potrebbe rappresentare una vera e propria ciambella di salvataggio. Con la scadenza naturale della legislatura nel 2027, questa maggioranza rischia di arrivare all’ultimo anno con il motore scarico. E allora tanto vale fare una mossa audace, seppur rischiosa, in perfetto stile Meloni: quando tutti si aspettano che rimanga ferma, lei muove la regina. Pazza idea? Forse. Ma in politica, spesso, sono proprio le idee audaci a dare i risultati più concreti. E da quando ha fondato Fratelli d’Italia, Meloni non ha mai sbagliato una mossa.
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